Archivio Vittorio Mascherini

una vita attraverso due guerre mondiali e la resistenza

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DIARIO DEL FURIERE FRANCESCO ORLANDI

Marzo 1917

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Il 3 Marzo, da solo, carico d’involti, mi recai al Distretto, avendo atteso inutilmente l’amico e collega d’ufficio Arnaldo Bacchiorri. Dal Distretto in Via Frassinago, ci inviarono in piccoli gruppi alla nostra stazione. Attendemmo l’arrivo della tradotta che giunse dopo le ore 15, mentre pioveva e nevicava bene. Fui fortunato di trovare un posto a terra in un vagone di terza classe, dove piansi, pensai e dormicchiai fino all’alba. Poi mangiai un po’ di quanto la mia mogliettina aveva preparato. Rimase libero un sedile e così potei stare seduto comodamente fino a Udine. Smontati dalla tradotta fummo indrappellati e condotti ai soliti baraccamenti, passando proprio davanti all’ufficio di Giuseppe Martinelli che in quel momento era uscito per consegnare un buono ad un conducente. Subito ad un mio cenno mi riconobbe e mi invitò a passare la serata in sua compagnia. Ma il carabiniere che avevamo in coda sollecitò l’interruzione del nostro breve colloquio e dovetti proseguire. Ma dopo poco me lo vidi comparire dentro i baraccamenti e potemmo così parlare per un buon quarto d’ora, promettendoci di vederci presto e magari con un bel congedo, e pace fatta definitivamente. Rimanemmo fermi ai baraccamenti fino alle ore 19, poi fummo nuovamente condotti alla stazione e messi sul treno diretto a Cividale. Appena seduto nello scompartimento, presi sonno e mi svegliai solo giunto a destinazione. Fummo condotti ai vecchi baraccamenti, divisi e suddivisi, nelle magre brande a telo sovrapposto a dormire. Io soffrii un gran freddo ai piedi ed alcuni non fecero che camminare avanti e indietro nella baracca per scaldarsi, battendo forte i piedi intirizziti dal freddo, sul piancito. Alle ore 4 fummo, in una lunga fila, condotti al trenino a scartamento ridotto e vi fummo caricati. Ci portarono fino a Loch, oltre Brischis, a terra ci caricammo dei nostri pesanti fardelli e cominciammo la lunga marcia. Lungo la strada avemmo la fortuna di trovare un compiacente carrettiere  borghese che ci permise di mettere sul suo carro i nostri pesanti bagagli fino a Robic. Da questo paese fino a Caporetto, marciammo come tante pecore sbandate, coi più forti e meno carichi davanti e i più deboli di dietro. Ve ne erano di quelli che portavano sacchi di noci, castagne, marroni, cassette, scatoloni, mobiletti in legno adatti per portare diversi fiaschi di vino, barilotti, damigiane, valigie, ecc. Tutti portavano del loro meglio, agli amici, desiderosi di far gustare le specialità gastronomiche dei loro paesi. Con un Caporale del mio Reggimento, da Caporetto prendemmo la strada di Ladra e per San Lorenzo ci portammo all’ufficio licenze di Kamno e fummo i primi arrivati. L’amico Vasconi mi diede asilo nel suo ufficio, per tutta la giornata, la notte fino all’alba dormii tutto di un sonno. 

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La mattina del 6 Marzo partii per la Fureria della prima Compagnia a Volarie accompagnato dagli altri di ritorno dalla licenza e da un graduato. Ci fecero percorrere le mulattiere di mezzacosta, anziché la via principale, per non essere troppo bersagliati dal nemico sovrastante, che troppo bene ci avrebbe veduti sul bianco tappeto di neve e verso le ore 10 potei giungere dal mio buon Furiere. Questi mi accolse con la solita benevolenza e dopo avergli offerto piccoli oggetti ricordo e parlato delle nostre cose, mi prevenne di quanto avevo sospettato in una lettera sibillina ricevuta durante la licenza dall’amico Cesari, e cioè, che alcune ultime disposizioni del Comando vietavano la mia presenza come scritturale di Fureria e che quindi dovevo salire in prima linea con gli altri. Esternò il suo dispiacere e quello manifestatogli dal Comandante della Compagnia, il Tenente Mascherini, partito il giorno innanzi per la sua licenza invernale. Però mi fece rimanere in fureria anche tutta la giornata per ultimare lavori contabili da me iniziati da tempo e verso le ore 22, ci coricammo parlando nel contempo, di quanto si faceva e si pensava della guerra nelle retrovie. Nel tardi sentimmo un forte bombardamento lungo lo sbarramento dell’Isonzo. Presi sonno, ma alle ore 3 mi alzai, scrissi parecchie cartoline a casa e ai conoscenti e feci così venire l’ora di partire per la prima linea sulla montagna. 

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Erano le ore 6 del 7 Marzo quando col Piantone Viola cominciammo la salita del Merzli. Sudore, palpitazioni al cuore e non poca fatica cominciarono a fiaccarmi. Vedemmo da lontano un gruppo di portaferiti, accantonati, ben riconoscibili dalla croce rossa sul bracciale, pensavo che sostassero per il faticoso trasporto di qualche grave ferito, ma avvicinandoci, dovemmo constatare che stavano bevendo fiaschi di vino di buon mattino. Più oltre incontrammo il postino Urbani che ci avvertì come il mio amico e Piantone di Piano del Vodil era rimasto gravemente ferito ad un ginocchio da una pallottola blindata di un fucile nemico. Ne ebbi tanto dispiacere, sapendolo buono e cortese,  umanissimo verso di me, e per di più per i servizi speciali fattemi nei primi mesi nel 155° Reggimento Fanteria. Dopo circa una mezzora di salita incontrammo la barella coi portaferiti. Al nostro incontro sostarono deponendo a terra il pesante fardello. L’amico mio carissimo stava sdraiato nella barella e coperto dal cappuccio del pastrano, a causa della forte pioggia che in quel momento cadeva. Appena mi riconobbe, subito sorrise e con le lacrime agli occhi, commosso, mi ricambiò il bacio che gli avevo dato. Mi chiese notizia di come avevo passato la licenza, se avevo trovato bene mia moglie ed i figli. Si mostrò dolente che gli fosse capitata quella brutta ferita quando ancora non aveva potuto godere la licenza invernale. Ci baciammo di nuovo e lasciai l’amico con parole consolatrici ed affettuose ed il mesto convoglio riprese la discesa. Noi proseguimmo il faticoso viaggio. Io pensavo, intanto, se dovevo invidiare l’amico ferito che forse con una lieve imperfezione scampava dal vortice della guerra! Dopo un’ora terminammo la ripida salita, fu la volta delle lunghe ed alte grandinate che ci fecero maggiormente sfinire dalla fatica. Finalmente dopo due ore, bagnati di sopra dalla pioggia e di sotto dal sudore, arrivammo al Comando di Battaglione. Due ciclisti al mio passaggio, mi chiesero, dai loro baraccamenti, se ero io Francesco Orlandi ed il telefonista Lietti si mostrò eccessivamente gentile; che succedeva a mio carico ? Prosegui il cammino e dopo poche centinaia di passi giunsi al Comando di Compagnia, dove tutti stavano dormendo sulle poche brande di sacchetti. Il primo a svegliarsi e a salutarmi fu il Caporale Furiere Pianigiani che subito mi raccontò che, essendo stato richiesto al Comando del 1° Battaglione uno scritturale, aveva fatto il mio nome. Quindi si attendeva il mio ritorno dalla licenza! Ecco giustificate le interrogazioni e le cortesie usate al mio passaggio davanti al Comando !  Non mi fu possibile vedere il Tenente Langella, al quale un giorno innanzi avevo inviato in regalo un salame, essendo più in alto col suo Plotone. Vidi invece il Sergente Raganelli insignito da due giorni del grado di Aiutante di battaglia. Parlò delle cartoline umoristiche inviate da Bologna e tanto gradite. Giunse anche la posta che mi portò una lettera di mia moglie nella quale mi narrava lo strazio sofferto per la mia partenza,  tanto più, che il mio figliolo Bebbe chiedeva sempre dove fossi andato e mi voleva ancora. Ci fu portato il rancio confezionato dalle cucine poco distanti, sotto il monte dove il nemico non riusciva a vederle fra quei burroni e calanchi. Indi presenziai alla mensa dei pochi ufficiali ed il Cappelli mi avvertì che io ero atteso e desiderato al Comando del 1° Battaglione del mio Reggimento. Infatti, poco dopo, da un portaordini fui chiamato e condotto al Battaglione dal Sergente Maggiore Ariolfo che mi volle con lui al lavoro.  Di poi fui presentato al Capitano signor Orsetti, all’Aiutante Maggiore Sig. Savaret ed al Tenente medico signor Piovanelli, mi interrogarono tutti, terminando col propormi di accettare la nuova carica speciale ed io assecondai volentieri al loro desiderio. Ritornai al Comando di Compagnia per congedarmi dagli Ufficiali e dipendenti, ringraziandoli delle speciali premure che avevano sempre avute a mio riguardo. Fu così che passai al Comando di Battaglione ed addetto allo Stato Maggiore. Fui subito istruito su quanto  dovevo fare. Mi trovavo in un baraccamento comodissimo, ben riscaldato. Il locale era di legno, imbottito di cartone impermeabile. Una stufa di ferro bruciava mattonelle di bardiff, producendo un caldo esagerato. I nuovi compagni di Battaglione dimostrarono una simpatia speciale a mio riguardo ed i Superiori mi tenevano in grande stima.

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Durante la notte compilai tutti i moduli che ogni mattina all’alba, dovevamo inviare al Comando di Reggimento. Gliufficiali perlustravano ed ispezionavano ininterrottamente la linea posta sotto la loro sorveglianza. Rientravano alle ore 4,30 portandosi alle loro brande, poco distanti dal mio ufficio. Solo un portaordini ed io eravamo svegli, mentre i ciclistied il telefonista sonnecchiavano con la testa sul tavolo. Approssimandosi l’ora dell’invio dei documenti al Comando di Reggimento e non essendomi ancora stata inviata la relazione della pattuglia della 4a Compagnia, dovetti svegliare ilSergente Maggiore Ariolfo, che per telefono seppe che era stata inviata da oltre due ore e che quindi non avrebbe dovuto tardare molto. Ma alle ore 6 vedo spalancarsi la porta ed entrare tutto congestionato e pallido un ciclista che urlava. Denso fumo ed alte fiamme illuminavano ed invadevano tutto attorno. Inebetito dallo spavento mi disse che si era svegliato mentre la sua baracca era tutta in fiamme e si era affrettato ad avvertire tutti perché qualche dormiente non morisse asfissiato o bruciato. Tutti erano sbalzati dalle brande e cercarono di domare l’incendio; ma invano. Un fortissimo vento spinse le fiamme verso le altre baracche della mensa, dell’Ufficio del Comando di Battaglione dove ero io, e tutto divenne ben presto come un’ardente fornace. Io stavo sempre ammassando sotto il mio tavolo alcuni oggetti di corredo personale che erano stati asportati dai baraccamenti vicini incendiati, quando sentii il crepitio di munizioni ed il grido << si salvi chi può >>, essendoci sotto l’ufficio dove mi trovavo la polveriera. Sul momento non diedi gran peso al pericolo ma poi vedendo che ero rimasto solo e tutti erano fuggiti e per  di più  udendo dalla polveriera lo scoppio delle bombe  a mano, anch’io me la diedi a gambe levate, abbandonando tutto perfino il mio tascapane che conteneva cose utilissime acquistate a Bologna di recente, nonché il cappotto nuovo che mi stava a perfezione!  Corsi verso il Comando di Compagnia e lungo il percorso vidi altri fuggenti senza scarpe, giacca ed in camicia e mutande. Il fuoco prese ben presto fra le sue branche due file dei baraccamenti e si udirono continui scoppi di cartucce, bombe, tubi di gelatina, razzi ed altro. Il legno ben secco, la paglia, la carta catramata, le munizioni ed il carbone, erano facile esca oltre ad un vento fortissimo. Dopo un’ora si udivano ancora gli scoppi, mentre le fiamme non lasciarono intatti che i grossi lamieroni di ferro e sotto di essi mucchi di cenere calda e fumante. Tutti avemmo del danno, ed io oltre al mio corredo personale, una cinquantina di lire per gli oggetti che si trovavano nel mio tascapane. La mensa Ufficiali rimase priva di stoviglie e di alimenti. Tutti i servizi vennero a mancare, distrutti i quattro apparecchi telefonici i due geofoni e tutti quanti gli impianti e condutture. Carteggio di contabilità, corrispondenza, moduli ed altro, tutto completamente bruciato. Fu salvo solo il luogo di medicazione, per i grossi muri in cemento che aveva, fortunatamente, dal tempo della sua fondazione. Ivi esisteva una bombola di ossigeno a tre atmosfere che se fosse scoppiata, avrebbe fatto come una grossa mina , lanciando i sassi del fabbricato a chissà qual distanza ! Basti dire che le schegge delle bombe giunsero sulle creste del Merzli, mentre nei camminamenti, furono trovate ben molto lontane. Noi avevamo la strada tagliata dalla lingua di fuoco e fu gran meraviglia che il nemico nonostante vedesse tutto, non ebbe a molestarci in nessun modo. Forse bastava quell’incidente, per lui !  Venne in visita il Tenente Colonnello Ferrari, ex Comandante di quel Battaglione per accertarsi dell’entità del disastro ed assicurarsi che non vi erano state vittime. Più tardi il Comando di Battaglione prese sede nel posto di medicazione. Furono fatte le installazioni  telefoniche e furono portati nuovi apparecchi, si sgomberò delle poche macerie dell’incendio ed il metallo risparmiato dal fuoco fu raccattato. Il danno ammontò a circa 40 mila lire. La notte seguente fu passata in quel luogo e bisognò stare ben pigiati, perché senza quelli che stettero alzati per ragioni di servizio, in più di una trentina ci sdraiammo sul pavimento. 

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Il giorno 9 Marzo si attendeva l’ordine del cambio, come si era sempre fatto; giunse invece un ordine che vietava assolutamente parlare di cambio, che sarebbe invece venuto inaspettatamente per scritto, perché il nemico intercettava e ostacolava il cambio con bombardamento. Poco distante dal luogo incendiato, il giorno dopo, fu subito costruita un’ampia baracca nella quale alla sera, presero posto il Comandante ed il suo aiutante. 

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Il 10 Marzo arrivò l’ordine di cambio che si effettuò senza incidenti. Solo dove si trovava la 1a Compagnia fu visto un Plotone nemico in atto di avanzare, ma viste le nostre forze agguerrite e sollecite all’attacco,  sparando accanitamente, credette opportuno rientrare nelle trincee. Io rimasi al Comando per la solita consegna al Battaglione subentrante, e verso l’alba cominciai a discendere pian piano appoggiandomi ai rami che costeggiavano la scalinata. L’ombra dei graticci che ci nascondevano al nemico, proiettati dalla luna, mi facevano vedere dei gradini anche dove non ve ne erano. Incontrai ritardatari del cambio, alcuni faticosamente salivano, mentre altri erano a terra a prendere fiato, ripassando dove poche mattine prima avevo incontrato ferito, il mio buon amico Molinari, pensai a lui che forse in quel momento si trovava ricoverato in qualche ospedale della sua Ferrara ! 

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Alle ore 5 e mezzo dell’11 Marzo giunsi a Volarie e mi recai alla Fureria della 1a Compagnia, per ritirare la poca biancheria lasciata prima della salita sul Merzli e scampata, fortunatamente, all’incendio. Riposai fin verso le ore 9 poi mi incamminai col Furiere, Caporale e Piantone verso Kamno. Là giunti, fummo ricevuti dall’amico Vasconi che ci offerse un po’ di Cognac. Di lì prendemmo la mulattiera di Libussina e dopo alcune brevi soste, giungemmo lassù, verso il mezzogiorno. Mi recai, anche là, alla residenza della 1a Compagnia per farmi un po’ di pulizia e dopo mi recai al mio ufficio di Comando del 1° Battaglione, posto in una bella casetta al primo piano nel centro del paese. Il Furiere della 1a Compagnia mi pregò di ultimare un ruolino da me cominciato, essendogli stato richiesto dall’Ufficio Amministrazione, ed in quel giorno e nella serata mi affannai per ultimare anche quel lavoro! Rimasi anche quella notte, là, a dormire, ed ebbi molto freddo. Fui messo in   “ berlina ”, scherzosamente, dai vecchi Sergenti per  la  mia carica speciale, essendo l’infima parte dello Stato Maggiore! 

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Nel pomeriggio del 12 Marzo, il Sotto Tenente Cappelli, direttore di mensa, venne in ufficio per chiedermi se ero contento della nuova mansione, e non potei che rispondergli che mi trovavo benissimo. Mi disse, anche, che avrei potuto approfittare dell’occasione di essere vicino alla mensa, qualora mi fosse occorso qualche cosa o fossi eventualmente rimasto senza rancio. Lo ringraziai della sua profferta e pensai che anche il giorno prima avevo sentito gli stimoli della fame, essendo rimasto senza rancio, per lavori d’ufficio. Pazienza! 

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Il 13 Marzo ebbi da Alessandria un pacco di indumenti di lana, speditemi dalla Direttrice della Scuola Nazionale, dove mia sorella era insegnante. Conteneva una camicia, due paia di calzettoni, un passamontagna, un asciugamano, un paio di guanti, due colletti di lana ed alcune caramelle, con tutti i biglietti da visita dei singoli donatori. Scrissi subito a tutti, particolarmente ringraziando e pregai anche mia sorella che l’avesse fatto, ella pure, verbalmente. Nel pomeriggio il Tenente Colonnello Ferrari, Sig. Pietro, riprese il Comando del Battaglione e tutti i dipendenti fecero in modo da essere ben puliti ed arditi, come egli voleva. Venne anche da me, in ufficio, e fu pienamente soddisfatto. 

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La sera del 14 Marzo fui invitato dal Riganelli, offriva una cena ai suoi più intimi amici, per la sua nomina da Sergente ad Aiutante di Battaglia. Alle ore 19 e mezzo fra doni umoristici, chiodi, corde, sapone e palle giganti di un toro  appese ad un rustico e gran candelabro sulla mensa abbondante e ben fornita che in zona di guerra, come ci trovavamo, era veramente invidiabile. A titolo di curiosità ripeto il menù : Salumi per antipasto, Risotto al sugo, Vitello tonnè, Pollo alla cacciatora, Formaggio, Frutta, Caffè, Vini e liquori.   La serata passò allegramente, onorata sul tardi dall’intervento del Tenente Cappelli, che portò quattro bottiglie di ottimo vino. Con chitarra , mandolino, canti, scherzi e risa, ci divertimmo fin verso la mezzanotte. Io ebbi un momento di malinconia sentendo suonare un valzer, che spesso ballavo da scapolo, nelle Società di divertimento con mia moglie! Poi anche quel momento passò e ritornai di nuovo allegro. 

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Il 15 Marzo furono inviati dal Comando di Reggimento alcuni libri di lettura ed ebbi l’incarico dal Tenente Colonnello Ferrari di impiantare una piccola biblioteca circolante a disposizione dei militari. Dopo poche ore tutto era già catalogato,inventariato, segnato, schedato per autore e per materia. Nello stesso giorno il Sotto Tenente Cappelli fu mandato al corso dei Comandanti di Caporetto. Prima di partire non mancò di venirmi a salutare e seppi che nel contempo mi raccomandòai Superiori che mi tenessero in considerazione. Nel pomeriggio giunse il Colonnello Sig. Cav. Antonio Guerra che tenne rapporto alla mensa Ufficiali. Trovò pulizia ed ordine e se andò oltremodo contento di tutto e di tutti. 

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Il 16 Marzo, tanto l’Aiutante Maggiore quanto il Sergente Maggiore Ariolfi, dovettero assentarsi per servizio ed io in quel giorno dovetti disimpegnare tutte le loro mansioni ed al ritorno approvarono quanto avevo fatto in loro assenza. Alla sera mi recai come al solito alla Fureria della 1a Compagnia e trovai il Tenente Gusmano che aveva bottiglie di liquori e fiaschi di vino per festeggiare un cugino accidentalmente incontrato. La serata passò allegramente con giochi romani e relative bevute ed anch’io scherzando come gli altri, non mi attenni scrupolosamente alle regole dei vari giochi per bere maggiormente di quello che la sorte destinava. Seppi in quella sera che il Tenente Marmiroli sarebbe stato mandato la mattina seguente ad Alessandria ad istruire delle reclute ed io approfittai dell’occasione per scrivere a mia sorella una lettera nella quale dicevo di sentire dalla viva voce del Tenente, l’ottimo stato della mia salute, delle località in cui mi bazzicavo, e della nuova carica da me coperta al Battaglione. 

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Il 17 Marzo giunsero i primi telegrammi annunziando la rivoluzione a Pietrogrado che costrinse L’Imperatore a fuggire abdicando la corona al fratello. Queste notizie venivano accolte da tutti con una certa compiacenza, perché si sperava che avrebbero affrettata la desiderata pace. 

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Il 18 vi fu rapporto dei Comandanti di Compagnia che decisero sulle proposte di avanzamento di alcuni soldati a Caporali e di Caporali a Caporali Maggiori. Durante il riposo, graduati e soldati, con rari permessi, si recavano al vicino paese di Caporetto per acquisti, divertimenti e a trovare donne. In quella sera ebbi occasione di parlare di queste ultime con l’Aiutante Riganelli, di ritorno da Caporetto, il quale assicurò che la ragazza con la quale si era divertito, in quella sola giornata, aveva servito 120 uomini riscuotendo  L.360; il guadagno netto si può limitare alla metà, perché l’altra metà andava spesa nell’alloggio, nel  vitto, e alla padrona della casa da thé. Si noti che egli era partito da Caporetto nel pomeriggio e fino a notte tarda rimaneva il tempo di guadagnare altrettanto! Ho voluto accennare a questo non per narrare cose oscene, ma per far conoscere veramente come la guerra abbia, oltre i suoi dolori, anche lo sfogo di naturali piaceri. 

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Il giorno 19, San Giuseppe, fu l’onomastico di molti militari, che si scambiarono doni, bevendo vino e liquori più del solito e ricevendo lettere e cartoline da amici e parenti lontani. Verso le ore 10 arrivò il Generale della Divisione che tenne rapporto nel mio ufficio, col Tenente Colonnello del Battaglione. Fra l’altro venne studiato il piano per l’avanzamento del giorno seguente. Fui squadrato da capo a fondo alla loro uscita e nulla ebbero a ridire. Incontrarono sulla strada l’Aiutante Riganelli al quale raccomandarono ardore nei nuovi attacchi e promesse di premi e licenze se avesse portato prigionieri. Indi fecero una minuziosa visita agli accantonamenti e se ne partirono, soddisfatti d’aver trovato pulizia ed ordine.  Nel pomeriggio giunse l’ordine che domani, all’imbrunire, si doveva dare il cambio al 3° Battaglione. In quei giorni furono censurate alcune cartoline perché in esse, alcuni militari, si lagnavano della distribuzione di mezza razione di pane, con l’autorizzazione di consumare parte delle gallette che ognuno doveva avere di riserva; ma invece chissà da quanto tempo esse erano state consumate ! Per curiosità riporto una canzonetta molto in voga.

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Artiglieria

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Cadorna dice che per avanzare

ci vuole il fuoco dell’artiglieria

la quale deve prima preparare

l’assalto che fa poi la fanteria.

Ma al momento dell’azione

te pulisce il cannone

e col sestante

te stanno a cercà il punto sur quadrante

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Cavalleria

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Quell’arma che era a cavallo e avea sproni

Cavalleria venne sui qué nomata

se fino ad ora sé gratto i coglioni

ma invece è stata già disboscata

Ed or non è come in passato

il cavalier se ne sta appiedato

Ma il poverino

a Monfalcone scappò come un bambino.

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Bersaglieri

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Se sa che porta piume er bersagliere

per fare sur nemico più impressione

è stato sempre primo fra le schiere

per conquistare qualunque posizione

Sulle vette de Cadore

arriva dopo tre o quattrore.

Dov’è che vada

te piglia sempre per un’altra strada.

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Alpini

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L’Alpino è veramente valoroso

non ha paura de pigliar le busse

te va sur monte più pericoloso

e in mezzo ai ghiacciai come se mella fosse.

Te conquista er cavallino

poi lo lascia al suo destino

Indi se senza

dicendo che col cavallo la non s’usa.

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Sussistenza

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La sussistenza è l’arma preferita

di tutti quelli che vollero la guerra.

Danno pane e pasta inacidita

te fanno senza paglia dormire a terra.

Alla lor mensa si scialacqua

mentre a noi ci manca l’acqua.

Sta brava gente

te chiede il cambio perché combattente.

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Genio

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Er genio ti combina l’invenzione

di far saltare i fili ed i paletti

te sparge gelatina a profusione.

Ma tu li trovi là sempre perfetti

mette il tubo con la miccia

poi a gambe se la spiccia.

Muta lo stoppino

riman sempre fregato il fantancino.

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Sanità

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La sanità è una perla di modello

per apprestare cure alli soldati.

Perché quelli scampati dar macello

benché feriti vengono salvati.

Fan lavoro coraggioso

che ci manca ancor riposo.

Ma tante volte

invece di guarir ti danno la morte.

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Fanteria

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Se vuoi sapere qual’é il più migliore

di tutti li suddetti è er vecchio Fante.

Sul Carso, nel trentino, e sul Cadore

delle azioni ne ha fatte chi sa quante.

Te se fa certe avanzate

sulle vette trincerate.

E quando è in cima

egli è ancor fresco come prima.

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Gli imboscati

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Son cose proprio care e molto belle

D’Annunzio mette i versi e con noi la pelle.

E ciò che fa poi rabbia alli soldati

è il Sergente alpino Bissolati.

Gl’imboscati traditori

fanno vita da signori

e noi meschini

restiamo a scoglionarci sui confini.

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Va senza dire che queste strofe venivano cantate solo dalla fanteria, in maggior parte, ed avevano ragione di permettersi questa canzone militare - umoristica.

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La mattina del 20 Marzo cominciai a prepararmi per la partenza e dopo il primo rancio ebbi l’ordine di avviarmi per tempo, causa il mio difetto visivo di vedere poco di notte. Discesi la mulattiera di Libussina e per Kamno, mi recai a Volarie. Fu un pomeriggio melanconico. Il pensiero della moglie e dei figli lontani che ardentemente amavo, mi fece piangere a lungo come un bambino. Quelle lacrime davano sfogo al nodo che mi serrava la gola ed il mio cuore pulsava più ritmicamente. Nei piccoli fiori bianchi, che la primavera faceva sbocciare fra le rocce, intravedevo il seno della mia donna, nei fiori cerulei, gli occhi del mio figlio ancora poppante, tutto il verde ai lati del sentiero sembrava che mi parlasse di loro, tutti da me lontani, ma sempre presenti nello spirito. Giunsi a Volarie abbastanza presto, e la visita all’amico Cesari mi tolse dalle nostalgiche meditazioni. Era già da molto tempo che non ci vedevamo e parecchie cosette avemmo da raccontarci, non mancando di parlare anche a lungo, come sempre, delle nostre famiglie. Ebbi incarico di portare giornale e documenti al Comando del suo Battaglione in partenza e così mi accomiatai prendendo la via dei Molini di Gabrie.  Giunto là, mi fu data errata indicazione e feci due kilometri di strada inutilmente. Giunsi alla nuova residenza del Comando di Battaglione che era già buio. Si componeva di una galleria nuova che lasciava filtrare l’acqua della pioggia torrenziale scatenatasi durante la mia salita. Pantano e pozze d’acqua in abbondanza. Trovai un cantuccio rialzato su cui potei sedermi e fu per me anche il giaciglio della notte. La pioggia si convertì in neve che cadde abbondantemente tutta la giornata seguente coprendo tutto di un manto bianco.  Immaginate l’umidità ed il freddo in quella galleria, dove si passava la notte senza dormire. Per riscaldare i piedi mi decisi di indossare i calzari felpati con le suole di legno. Addosso, il cappotto col cappuccio alzato. Ricevetti in quella giornata ben due lettere da mia moglie, con tristi notizie. In una mi avvertiva che mio figlio Beppe era a letto per un ascesso a un tallone, infezione prodotta da un chiodo sporgente nelle scarpe e che necessitava di una piccola operazione; nell’altra che ella era ammalata con febbre e che suo padre si era messo a letto con una sciatica. È facile indovinare quanto fosse il mio malumore, nel ricevere quelle tristi notizie. Piansi ancora e sentii il peso della lontananza! Se fossi stato loro appresso li avrei di certo consolati. 

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Il 22, il 23 e parte del 24 Marzo seguitò a nevicare, sicché, furono sospese le uscite delle pattuglie ardite comandate dal coraggioso Aiutante di battaglia Riganelli, aventi lo scopo d’assalire d’improvviso le vedette nemiche e farle prigioniere. Anche l’Aiutante Maggiore Savaret ed il Tenente Borghetti con gli Arditi, furono costretti a sospendere le loro uscite serali per prendere cognizioni nelle linee e difese nemiche. Il Tenente Colonnello Ferrari tutto il giorno era lungo le nostre linee per studiare nuovi appostamenti per le nostre artiglierie, e per i lavori necessari di difesa ed alla notte era sempre sveglio ed a ogni telefonata voleva sempre essere informato. Ebbi modo di assistere a diversi convegni. In uno di questi, diversi Ufficiali del 156°, dicevano di avere visto un posto avanzato del nemico e che si sarebbero certamente fatti parecchi prigionieri. Si guardò, si studiò, si fecero degli schizzi ed il nostro Colonnello, che in verità non ci vedeva chiaro, ed aveva poca fiducia in quegli ardimenti del 156°, diede tuttavia indicazioni preziose per l’uscita che poi non si effettuò, perché, mandato di giorno il Riganelli con uno dei loro a perlustrare, assicurò che il posto da loro creduto occupato da vedette nemiche avanzate, non era altro che.........un elemento sporgente di una nostra trincea!!!! Se si fosse stati alle loro informazioni si sarebbe fatto l’irruzione.... nella nostra trincea!!

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Nel pomeriggio del 26 Marzo venne il Colonnello Guerra e tutti dovemmo uscire avendo egli da conversare col Tenente Colonnello Ferrari. Dopo mezz’ora  uscirono. Il Colonnello, vedendomi, chiese ch’io fossi. Il Ferrari gli disse che ero lo scritturale del Battaglione:<< Ed a chi lo rassomigli? >>, Chiese il Colonnello.<< A Padre Gemelli! >>. Rispose il Ferrari. << Hai proprio ragione, con quegli occhiali si rassomiglia moltissimo.>> Di rimando il Colonnello. Da allora in poi al Battaglione venni chiamato “ Padre Gemelli ”. Quella sera tutto era stato disposto per fare la piccola azione degli Arditi ed il piano era stato studiato e esposto in ogni suo minimo particolare. Ma poi venne l’ordine di sospensione e non si fece nulla.

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Il 28 Marzo giunse dalla licenza straordinaria passata a Bologna il Cappellano Don Pasquale e fu contento di trovarmi scritturale al Battaglione e sempre affabile, mi narrò dei bei giorni passati nella città Dotta e Grassa. Il Tenente Colonnello e l’Aiutante in seconda, gli fecero gran festa e vollero che si trattenesse con loro a colazione. Nella cameretta, dove alloggiavano, improvvisarono una buona merenda in onore del Sacerdote, e pure io mi diedi d’attorno per preparare la mensa in quel luogo ristretto. A colazione si parlò dello spostamento che noi avremmo fatto a Pasqua, essendo in quel giorno in linea, quindi per noi sarebbe stato il secondo che saremmo stati a riposo. Dopo se ne andarono al Comando di Reggimento dove erano attesi per sorbire un caffè e parlare di cose importanti. Essendo una bella giornata ne approfittai  per andare ad una sottostante cascatella e spogliatomi fino alla cintola mi feci un’abbondante saponata. Ma presto al mio fianco cominciarono a fischiare pallottole di fucileria sicché dovetti spicciarmi per non rimanere fregato. Nel tardi l’artiglieria nemica inviò proiettili sulla mulattiera che conduceva al Comando di Reggimento e presso la nostra galleria.

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Il 29 Marzo fu ordinato di prepararsi per la partenza e trasportare tutto il materiale nella seconda camera della caverna. Dopo il primo rancio ci affardellammo e via verso la nuova residenza del Battaglione. Lungo il cammino ci fermammo a raccogliere dei fiorellini per il Tenente Colonnello, tanto amante dei fiori, anche se inodori, gradì il nostro pensiero gentile. Il Comando del Battaglione prese sede in località altissima, sopra un profondo burrone, in piccole baracchine di legno appoggiate alla roccia. Paesaggio incantevole ma pericolosissimo. Guai mettere un piede in falso su quelle rocce! Poco distante vi era una galleria scavata nel vivo sasso, che passava dalla parte opposta del Vodil. 

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Ivi era appostato un cannoncino da 37 mm, un giocattolo in confronto ai 280 coi quali ero tanto familiare sul Carso. Con quel cannoncino fu presa in pieno una trincea nemica la quale da parecchio tempo feriva i nostri militari e da quella parte si ebbe finalmente un po’ di requie. Ai nostri lati stavano lavorando alacremente i nostri reparti zappatori, creando strette strade mulattiere con spesse voltate a zig - zag e tormiquettes. Il Tenente Ciccanti partì quella sera in licenza e gli consegnai una lettera da impostare, diretta a mia moglie, nella quale l’assicuravo di trovarmi bene in salute e in un luogo invidiabile in  montagna. Giunsero da Scelisce i complementi ( fra i quali ex  territoriali del 1878 ) che con i nostri graduati formarono il quarto Battaglione provvisorio del 155° Reggimento Fanteria. Ricevetti un biglietto dal Sergente Maggiore Vagnozzi in cui mi pregava di accettare il posto in linea di aiuto furiere alla 1a Compagnia, essendo stato destinato al nuovo Battaglione il Caporale Pianigiani. Gentilmente rinunciai perché preferivo il posto che occupavo, ma poi il Pianigiani fu lasciato al suo posto ed io rimasi più felice al Battaglione. La sera seguente, distribuendo ai portaordini gli ordini del giorno da postare alle Compagnie, lessi come l’amico Cesari fosse sostituito nella sua carica, dovendo andare in licenza invernale. Nonostante l’acqua ed il vento indemoniato gli inviai subito una lettera e denaro da recapitare a mia moglie, facendogli auguri per una buon vacanza. Dopo mezz’ora giunse il Piantone Viola con una lettera del Cesari, che mi avvertiva della partenza e mi pregava di quanto avevo prevenuto. Il tempo, sempre pessimo, durò anche tutto il 31. Nel pomeriggio ebbi l’ordine del cambio e cioè dal Vodil si doveva passare al Merzli, ma causa il forte grandinare ed il vento impetuosissimo, fu rimandata la partenza di 24 ore. In quella sera venne l’ordine dal Comando della 46a Divisione che : << Per decreto luogotenenziale del 4 Marzo 1917, a partire dalla mezzanotte del 31 Marzo - 1° Aprile, l’ora normale verrà anticipata di 60 minuti primi, nell’istante suindicato gli orologi saranno perciò portati a segnare l’una antimeridiana >> Ed io puntualmente feci fare un salto di un’ora all’orologio del mio polso sinistro e dissi fra me : - Verrà la pace un’ora prima !!.. 

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Giunsero notizie, desunte dall’interrogatorio di disertori presentatisi nelle nostre linee, nelle quali si diceva che le truppe erano scarse, ma supplite con spesse mitragliatrici.  Che il nemico lavorava a costruzioni di baraccamenti, sgombero di neve e trafori nelle linee immediatamente dietro la linea di vetta dello Sleme. Che di notte le vedette si portavano in buche scavate fra la trincea ed il reticolato, protette da muretti a secco, dandosi il cambio ogni notte per il gran freddo. La linea di trincea, profonda 2 metri, era protetta da reticolato alto m. 1,60 e profondo  da 3 a 5 metri. Le trincee erano munite di feritoie scudate. Numerosi camminamenti partivano verso il tergo della posizione dove erano scavate 4 caverne a due ingressi alte m. 1,80 con due ordini di cuccette in legno che potevano contenere da 30 ai 40 uomini, ricoveri per 3 o 4 soldati scavati nella terra e ricoperti con tronchi, tavole, lamiere e zolle. Il rancio scarso e scadente veniva distribuito fra le 11 e le 12,  composto di carne per i soldati in prima linea ed in razioni di pesce salato per la riserva. Era stato dato ordine ai soldati di portare la baionetta invece della sciabola. Notizie ufficiali facevano ascendere a 4.148.163 le perdite nemiche, escluse la Marina e le Colonie. Le perdite del mese di Febbraio ascendevano a 60.171. Di stampati sui generis ne vennero spesso.

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