Archivio Vittorio Mascherini

una vita attraverso due guerre mondiali e la resistenza

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DIARIO DEL FURIERE FRANCESCO ORLANDI

Febbraio 1917

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Il 1° Febbraio 1917 avemmo il 1° ferito della nostra Compagnia sul Vodil. Il soldato Montanari Giuseppe che stava al nostro fianco fuori dal suo ricovero, venne colpito da parte a parte nel basso ventre da una pallottola nemica. Fu subito portato con pericolo e fatica a Volarie dai nostri portaferiti che quasi impazzirono per scendere da quelle ripide, anguste e pericolose viuzze di montagna con quel ferito tanto grave.

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La mattina del 2 Febbraio dopo aver fatto il fonogramma, al Comando di Battaglione, della situazione, venne da me il soldato Buonfiglio Natalini che era stato ferito nel braccio sinistro da una pallottola di un nostro fucile. Certamente una delle nostre vedette l’aveva erroneamente colpito!... In quel giorno avemmo anche il primo congelamento ai piedi a un nostro soldato; sebbene tutti portassero lassù gli zoccoli di legno. Fu comandato di uscire con la pattuglia l’Aspirante Sig. Cappelli e passò la serata trattenendosi più del solito a narrare della sua famiglia e delle sue cose private. Il Comandante di Compagnia si mostrava sempre più premuroso a mio riguardo e non mancava, anche nei pasti di offrirmi qualche polpetta e frutta secca. Dovendo io sorvegliare giorno e notte per il telefono, egli si offriva di sostituirmi per qualche ora perché io dormissi. Di ogni cosa mi metteva al corrente e lasciava a me facoltà di redarre fonogrammi, compilare rapporti, scrivere ordini ed altro. Non ebbe mai a farmi la benché minima osservazione, e per giunta mi autorizzò di firmare anche per lui. 

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Alle ore 3,10 del 3 Febbraio uscì la pattuglia comandata dal Cappelli con otto militari. Trovò i reticolati ben chiusi. Dalla parte nemica vide che si facevano due piazzole, udirono i colpi dei picconi e delle pale. Altri camminamenti erano in costruzione. Gli operai nemici erano sorvegliati da due Ufficiali posti più in alto che dirigevano i lavori. Rientrata la pattuglia venne il Cappelli ed assieme facemmo la relazione che inviammo al Comando di Battaglione, ricopiato in bella calligrafia. Dovetti fare rapporto per un Caporale e due soldati del 156°, perché il nostro servizio del rancio alla notte non veniva seguito regolarmente; si trattava del Caporale Mammier Giuseppe e dei soldati Rosa Eliseo e Nava Luigi che, fra l’altro, avevano buttato a terra una marmitta di rancio destinato al nostro Plotone più distante degli altri, allo scopo di non fare maggior fatica e guadagnare tempo e ritornare prima degli altri alle cucine retrostanti. Feci la divisione e la distribuzione del tabacco con un aumento di razione a favore dei soldati per la mancata solita camorra. Ebbero così due toscani e mezzo, dieci sigarette ed un pacchetto di trinciato. Fui in quei giorni pieno di malanni ed avevo anche perduto la voce, tanta necessaria per trasmettere i fonogrammi ed ordini. Continuava il male alla gola, la tosse sempre irritante, stomaco indisposto, stitichezza, e per di più mi doleva maledettamente anche un dente cariato. Ebbene, nonostante tanti mali, non mancai di compiere tutte le mansioni di fureria affidatemi, curandomi alla meglio con purganti e digiunando.

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La mattina del 4 Febbraio, alla nostra destra si ebbe un prelevamento, e cioè la cattura di alcuni soldati pattuglianti del 156°. Erano le ore 4 e mezzo, quando le sentinelle avanzate della nostra destra videro l’irruzione nemica che riuscì a prendere alle spalle una pattuglia del 156°. Quattro soli riuscirono a fuggire, gli altri furono trascinati nelle trincee nemiche, nonostante che un intenso fuoco di fucileria li seguisse! Più tardi, una mitragliatrice a pistola, appostata dal nemico in una piazzola di roccia lanciò alcune scariche alla nostra sinistra e vi fu chi riconobbe in quella, il suono di una delle due mitragliatrici catturateci dal nemico alcune sere prima! Più tardi venne l’Aspirante Cappelli, direttore della mensa Ufficiali col quale stilai ricevute e grafici spettanti agli Ufficiali del 1° Battaglione, che ebbero una spesa media giornaliera di Lire 3,50 nel vitto, nonostante l’ottima e abbondante cucina. Non avrebbero potuto spendere di meno! 

Alcuni colpi d’infilata raggiunsero la nostra destra e la nostra artiglieria con tre colpi individuò il tiro e si videro fuggire a gambe levate alcuni artiglieri nemici addetti a quel pezzo. La 3a Compagnia fu sfortunata. Ebbe l’atterramento di ben cinque baracchini, provocati dal lancio nemico di tubi di gelatina, con due morti e tre feriti. Nel pomeriggio feci la distribuzione di cioccolata e cartoline, della prima ne toccò mezza stecca ( pochi grammi ) per ogni razione, mentre delle ultime ne toccò un forte quantitativo , tanto ne riconobbero in me un giusto ed imparziale distributore di tutto e per tutto. Si ebbe notizia che la sera dell’8 vi sarebbe stato il cambio. Tale notizia fu portata da un nuovo Aspirante Amedeo Langella, salernitano, destinato alla nostra Compagnia, reduce dal corso allievi Ufficiali di Orsaria. Si seppe anche dell’ammanco dalla Cassa della Compagnia di una certa somma, per spese personali fatte abusivamente dal Caporale Furiere Persiani, quando il Furiere Serg. Maggiore Vagnozzi si trovava in licenza invernale, ma fu trattato amichevolmente. 

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Il 5 Febbraio feci la distribuzione di tabacco e cartoline. I militari furono contentissimi per le abbondanti razioni. Mi esternavano ripetutamente la loro riconoscenza perché poveretti, vi tenevano molto a quelle piccolezze in quei luoghi isolati e pericolosi. Nel pomeriggio i nostri tre Ufficiali ed un Sergente si misero a giocare accanitamente nel nostro rifugio, quando verso sera, si presentò sulla soglia il Maggiore Ferrari, alcuni furono svelti a fare scomparire il denaro loro, ma il Cappelli che aveva biglietti, argento e rame non fece in tempo e lasciò tutto sul tavolo. Il Superiore diede un gentile e paternale rimprovero e disse che non permetteva di coltivare il vizio del gioco d’azzardo, tanto più che il Battaglione doveva considerarsi come una famiglia, ed in famiglia giochi simili non sono i preferiti. Poi si recò ad ispezionare la linea, correggendo alcuni appostamenti di mitragliatrici, bombarde ed altro.

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Il 6 Febbraio il nemico molestò di nuovo la 3a Compagnia con bombe e bombarde, triplicando i tiri gli risposero i nostri. Un portaferiti che si recò da un ricovero di prima linea ad altro ricovero, fu ferito a un braccio da una vedetta con una pallottola esplosiva. Il ferito incominciò a strillare tanto forte che il feritore attratto dai lamenti, anziché impietosirsi del male cagionatogli, spianò nuovamente l’arma colpendolo ad ambe le gambe riducendolo miseramente a fin di vita. Un altro portaferiti che corse a confortare il disgraziato si buscò una pallottola nemica sulla fronte!bIn quella sera il Cappelli si trattenne a conversare narrando particolari sui fatti accaduti durante la settimana  rossa Romagnola, di cui egli era stato uno dei principali organizzatori! Il Tenente Mascherini narrò delle sommosse avvenute al suo paese e a Firenze; e fu giudicato dannoso il contegno dell’Onorevole Comandini, per buscarsi poi un portafoglio ministeriale tradendo il Partito Repubblicano facendo un impasto col Partito Monarchico. I miei due Superiori erano adunque due ex rivoluzionari!

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Il 7 Febbraio il Sergente Scutaro fu di pattuglia e gli feci la relazione per il Comando. Nel pomeriggio e serata gli Ufficiali giocarono in diversi modi e dovetti funzionare da cassiere prestando loro denaro spicciolo e piccola carta di Buoni di Stato. Spesso dalla cima su cui mi trovavo, nelle giornate chiare, ammiravo la catena delle montagne che mi attorniavano e Tolmino con le vaste caserme abbandonate. Avemmo tra i feriti il Caporale Attiglio Rossi. Era la sesta volta che veniva fregato dal nemico, sfuggendo sempre miracolosamente alla morte. Nella serata l’Aspirante Langella mi trattenne per lunghe ore parlandomi della presa di Gorizia, alla quale egli aveva preso parte come soldato semplice nel nostro Reggimento, uno dei più provati alla pugna. Narrava egli :

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<< Fantastico era l’ammassamento dei reggimenti verso Gorizia da conquistare.  Gli ordini venivano trasmessi da Ufficiali ad Ufficiali, da Comandante a Comandante,  e tante volte gli uni che gli altri perdevano il collegamento. Era una penosa ricerca, un affannoso interrogare i passanti di diversi reparti e corpi per far riprendere ai loro uomini il posto fissato loro in marcia. Poi vi furono lunghe soste. Fortunati quelli che avevano a loro disposizione camminamenti, dislivelli, terrapieni, piazzole e fiflans, per ripararsi dall’Artiglieria nemica che faceva grandinare proiettili di ogni calibro. Molti furono i feriti gravi trasportati ai vari ospedaletti da campo dalle autoambulanze. Poi venne l’ordine di proseguire verso la città tanto desiderata e fra il grandinare delle palle, il reclamare dei soldati e l’entusiasmo degli Ufficiali, finalmente si entrò in Gorizia. Furono svaligiate le case abbandonate ed ogni soldato prese un ricordo di suo gusto. Il mio Reggimento ebbe l’ordine di trincerarsi nel cimitero oltre la città e si accantonò alla meglio. Col Comando occupai la casa del custode del cimitero. Trovammo migliaia di schede contenenti tanti permessi rilasciati dai diversi Comandi Austriaci ai parenti dei morti in guerra, desiderosi di visitare le terre ove erano stati sepolti. Andai a rovistare fra i cartoni della corrispondenza e dell’archivio, i documenti più recenti. Fra l’altro una nobile signora scriveva al custode, che quell’anno, date le difficoltà  ed i pericoli, non poteva recarsi per la solita visita dal suo parente, e che questi avesse egli stesso fornita la tomba di fiori e ceri, l’avrebbe ricompensato di ogni disturbo e spesa subita. Si lagnava quella signora, che neanche i morti fossero lasciati in pace, perché le artiglierie Italiane......( mentre lo erano poi anche quelle Austriache ).....non risparmiassero quei luoghi sacri. Difatti i cimiteri più di ogni altro luogo si tenevano meno vulnerabili ed erano pieni zeppi di truppe. Purtroppo è il contrario perché il nemico se ne accorgeva ed il terreno, le tombe ed i preziosi avelli erano continuamente sconvolti dalle artiglierie e quindi i militari per salvarsi la pelle...... profanavano a malincuore, anche le tombe. Presi l’indirizzo di quella signora coll’intenzione di scriverle a guerra finita. In quei luoghi il mio Reggimento vi rimase a lungo, eseguendo trinceramenti speciali.  Durante le brevi visite ai fabbricati di Gorizia e dintorni, i soldati non mancavano di perquisire appartamenti, cantine, granai e bere bottiglie di vino e birra facendoli in parte ubriacare. In quelle giornate afose di Agosto i militari soffrivano ben la sete e si dissetarono! In tutti quei luoghi, in tutte le case era un agglomeramento di soldati che si arrangiavano con tutto quello che veniva loro sottomano. Così il giubilo della Vittoria si mescolava ai fiumi del vino e della birra ed era un alternarsi di esaltazioni, di canti e di allegria. Tutto attorno invece era desolazione, dolori per i molti feriti d’artiglieria nemica. Le fanterie si affannavano per i turni ai lavori di trinceramenti e reticolato, il Genio preparava piazzole, ricoveri, le artiglierie trasportavano grossi pezzi, mentre le autoblindate ed i camioncini, in fila stretta, tenevano sgombro il terreno antistante. Durante il giorno dagli osservatori si individuarono gli appostamenti, dagli aeroplani si esploravano le località maggiormente difese, per attaccare il nemico nelle sue parti più deboli durante la notte. I Bersaglieri che andavano all’attacco si staccavano i fregi dalle divise, perché se rimanevano prigionieri erano certi di rimanere subito uccisi, essendo noto l’odio del nemico per questo Corpo Specialista per l’assalto e occupazione di trincee Austriache. Tutto questo affaccendarsi per rendere stabile la poca terra conquistata, con non pochi morti, feriti e prigionieri. Per tutti, il punto più difficile fu la traversata dell’Isonzo sopra una leggera passerella posta dal Genio, che fu poi pian piano allargata tanto da permettere il passaggio a qualunque carreggio. I Generali ed il loro seguito, poterono così recarsi in automobile per gli opportuni ordini a Gorizia e stabilire i loro quartieri generali. Molti negozi condotti da commercianti Austriaci, che diedero garanzie della loro neutralità, fu permesso di continuare la vendita delle loro merci. La Sezione Sussistenza funzionò il giorno dopo la presa e l’Unione Militare, il giorno seguente, aprì una sontuosa e fornitissima succursale. I caffè, le fiaschetterie rigurgitarono ben presto nelle ore serali e la città conquistata, in pochi giorni, riprese quasi l’andamento abituale. Le cantine diventarono ricoveri e gli appartamenti adatti furono rinforzati con piani in cemento per formare le camere di scoppio di proiettili che, dal monte Santo, i nemici inviavano a Gorizia Italiana. Non per questo il Comando Italiano creò il fulcro di rifornimenti per le truppe avanzate, stabili sedi per i diversi servizi ed ogni sorta di trasporti. Organizzò servizi in quel settore, e mai si ebbero ritardi e deficienze sia nel vitto che nel munizionamento. Solo la cavalleria fu quella che ebbe il minor compito e le maggiori perdite per il terreno in dislivello, sia perché poco allenata sotto il fuoco moderno. Difatti la cavalleria fu ritirata da quella zona per non esporla inutilmente a maggiori sacrifici. Le altre truppe si adattarono relativamente presto e vi rimasero parecchi mesi senza darsi il cambio e quasi tutti raccolsero oggetti di cucina ed indumenti personali. Molti oggetti di valore artistico furono sequestrati dai Reali Carabinieri nelle visite che facevano ai militari che rientravano in Italia nel turno di licenza. Vi furono cultori di cose d’arte, di letteratura e di poesie che fecero studi e ricerche. Furono anche trovate cartoline in lingua Italiana in questi termini :

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( Canzone rinvenuta nel Circolo Democratico degli impiegati di Gorizia dalle nostre truppe.)

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Santa Lucia

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Sul mare vigila 

La nostra flotta

Sul Kru l’Armata

Vince la lotta

Evviva l’Austria

E l’Ungheria

Santa Lucia , Santa Lucia

Vicino l’Isonzo

Sta Emanuele

Col naso in aria

Guarda le stelle

Lasciami entrare

Gorizia mia

Santa Lucia , Santa Lucia

E Gabriele

Ha la chitarra

Canta la solita

Canzone amara

Vieni Trieste

Ingrata fia

Santa Lucia , Santa Lucia

Anche Cadorna

Canta in terzetto

Guanta le lacrime

Col fazzoletto

Perché non vieni

Vittoria mia ?

Santa Lucia , Santa Lucia

In coro cantano

Garibaldini

Siamo briganti

Tutti assassini

Da questi monti

Scapemo via

Santa Lucia , Santa Lucia

E fra le nuvole

In un franato

Pallone dondola

Un bel soldato

Vedo in Italia

Gran Carestia

Santa Lucia , Santa Lucia

Tutti i malanni,

Tifo e colera

Balle nemiche

ne butta in terra.

Ah ! Mutandine,

Dissenteria.

Santa Lucia , Santa Lucia.

E siora  Elena

A Miramare

Un bagno tiepido

Vorrebbe fare

Un pescecane

Ahi ! mamma mia

Santa Lucia , Santa Lucia

E Salamandra

Con sior Sannino

Corrono al fronte

Ma non vicino

Siamo nemici

D’artiglieria

Santa Lucia , Santa Lucia

Emanuele

Ben disperato

Dice : Cadorna

Divento mato,

Torneremo a Napoli

In osteria

Santa Lucia , Santa Lucia.

Passar l’Isonzo

He un osso duro

Su le montagne

He troppo scuro

Mai più non vado

L’Austria - Ungheria

Santa Lucia , Santa Lucia.

Arrivederci 

Cari Italiani !

Forse a Milano

Oggi o domani

Verremo a prendere

La Lombardia

Santa Lucia , Santa Lucia.

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E così si sbizzarriva con una satira politica il poeta Austriaco, altri con disegni facevano del meglio. >> E l’Aspirante Langella finì il suo dire.

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Il giorno 8 Febbraio fu notato un certo movimento nelle truppe nemiche e maggior intensità di lavoro. Al telefonista Lietti che mi rispose male, dal mio Comando gli furono affibbiati 3 giorni di prigione di rigore. In quella sera fu di pattuglia il sig. Amedeo Langella, che mostrò un gran sangue freddo e coraggio. Uscito alle ore 23 col suo attendente finì sotto i reticolati, lasciando indietro il Caporale, che sebbene l’avesse ripetutamente chiamato, si era steso a terra e reso immobile. Rilevò che i nemici lavoravano indefessamente e perlustrò i reticolati lungo la linea. Scorse sul terreno una bomba inesplosa che raccolse e portò  seco per il terreno scosceso e pieno d’inciampi con grave pericolo di uno scoppio. La portò al nostro ricovero, di ritorno dalla pattuglia, ma il Tenente Mascherini, Comandante la Compagnia, la fece portare in luogo un po’ più distante ed isolato per evitare qualche disgrazia provocata dalla curiosità dei nostri militari, o da qualche collezionista desideroso di quell’ordigno infernale.

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Il 9 Febbraio feci ritirare tutte le coperte e gli zoccoli affinché tutto fosse pronto alla consegna che avrei dovuto fare a tarda notte alla 6a Compagnia del 156° Fanteria. I miei ottimi Ufficiali, che mi trattavano come un loro pari, mi colmavano di gentilezze e cortesie, mi offrirono, spesse volte, anche parte della loro mensa, rallegrandosi del servizio da me prestato in trincea in qualità di Furiere. Il Comando poi mi aveva autorizzato di sbrigare tutto, lasciava aprire e rispondere alla corrispondenza d’ufficio a lui diretta, trasmissione di ordini per il buon andamento del servizio difensivo, complicazioni di circolari, rapporti pattuglie ed altro. Fu per me un gran sollievo morale fare quasi tutto di tutto e lasciar riposare tutto il giorno il mio Comandante. In quei 10 giorni non potei più dormire di due ore su 24, essendomi abituato all’insonnia per necessità d’ufficio. E di caffè ne bevetti certamente almeno un litro ogni giorno! Venne finalmente l’ora del cambio, che si effettuò senza alcun incidente degno di nota. Alle ore 22,30 io ed un portaordini, cominciammo la ripida discesa per il camminamento. Data l’immobilità nella trincea, le mie gambe mal reggevano il corpo, spesso traballavo e mi addossavo all’una od altra parte del camminamento.  Per buona sorte la luna ben chiara mi illuminò il cammino pieno di terreno sassoso con buche e gradini irregolari, che ammontavano alla bellezza di 960, ( da me contati ) ed altra strada con forte pendenza. Giunsi con non poca fatica sulla strada di Gabria - Volarie e con poche soste arrivai alla residenza di fureria della mia Compagnia. Da lontano fui riconosciuto dal mio buon Sergente Maggiore Vagnozzi, che dopo una infinità di complimenti e premure mi offerse una branda per riposare.

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Erano già le ore 2 del 10 Febbraio e dopo aver parlato di cose d’ufficio, presi sonno. Alle 5 ci alzammo per prepararci alla partenza per la nuova destinazione dove si avrebbero avuto 10 giorni di necessario riposo. Dopo aver bene assettato, locale e mobilio, inchiodammo le porte con traverse di legno dalla parte interna e ce ne uscimmo dalla finestra mettendoci in marcia. La giornata era splendida. Passammo per Scelisce, Kamno e lungo la mulattiera giungemmo a Libussina, dovela fureria fu posta in un granaio di un modesto fabbricato rurale. Nel pomeriggio facemmo la cinquina, all’aria aperta, godendoci un po’ di sole.  Riscontrammo altre irregolarità commesse dal Caporale Persiani, con nostro sommo dispiacere. Poi mi sdraiai per dormire un po’ di gusto, e alle ore 22 fui svegliato dal Sergente Vagnozzi che mi offrì mezza gavetta di riso e mezza tazza di vino, avanzo della cena fatta poco prima dai Sergenti. Tutta la notte un intenso fuoco di fucileria e cannoni si fece sentire proprio dove eravamo noi la sera prima sul Vodil, Posizione E - 3 - 4 - 5, e precisamente dove noi ci trovavamo in collegamento colla 2a e 3a Compagnia. Non per nulla era stato dato il cambio alla territoriale nemica che per l’addietro aveva lasciato più in pace quelli che avevano occupato quelle zone! Difatti il nemico approfittò del buio per incamminarsi, in plotoni affiancati, nel terreno più adatto e meno ripido. I nostri resistettero all’urto finché fu loro possibile, ma poi, visto che sarebbero stati sopraffatti dal numero ed accerchiati, indietreggiarono nei camminamenti. Gli Austriaci rovistarono nei ricoveri con cerini accesi, mentre la nostra artiglieria aggiustava il tiri. Fu una grandinata dei nostri proiettili che fece iniziare, ed eseguire, la ritirata che ridusse a ben pochi la via di scampo, per parecchi morti e prigionieri. Se ne contarono fino a 31 dei loro morti entro i nostro reticolati. I prigionieri furono condotti al Comando di Compagnia per gl’interrogatori e parte furono pasto dell’ira dei nostri soldati. Le nostre perdite si limitarono a 4 morti, 37 feriti e 30 dispersi. Fu inviato il 3° Battaglione di rinforzo ed era stato anche ordinato al 12° Reggimento Fanteria, di tenersi pronto per un’eventuale necessità. Fu rioccupata la linea primitiva e si dovettero eseguire parecchi lavori per riparare i danni causati dalla nostra artiglieria.

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La mattina dell’11 Febbraio il mio Comandante, il Tenente Mascherini, mi avvertì che non poteva venire in licenza invernale come aveva divisato e che avrebbe messa a mia disposizione la prima tradotta R5 disponibile. Ne feci avvertire il Cappellano don Pasquali, che si trovava in un crocchio d’Ufficiali e scherzosamente si congratulò della mia prossima andata in licenza, avvertendomi che ben presto mi avrebbe seguito, essendo stato nominato Rettore provvisorio alla Parrocchia fino al termine della guerra, per fare poi un concorso regolare. Dall’Economato dei Mendicanti era ora stata richiesta la sua presenza a mezzo della Autorità competenti. Ci promettemmo di rivederci a Bologna. Anzi mi incaricò che appena giunto alla mia città andassi ad avvertire sua sorella del suo probabile arrivo. Alle ore 10 il Furiere Vagnozzi ed io ci recammo alla chiesa di Libussina. Là trovammo Ufficiali e soldati, Cappellano compreso, che stavano forzando la porta laterale della chiesa per entrarvi, essendosi perduta la chiave dal Comando del Presidio. Con un palo di ferro fu fatto saltare il catenaccio e si poté entrare nella magnifica Chiesa che nulla lasciava proprio desiderare sia l’architettura, per il mobilio, per gli arredi e per una buona armonica sostituita al vecchio e raro organo, rovinato da qualche mano sacrilega desiderosa di impossessarsi delle sue canne di puro stagno. Feci anche una rivista a tutti i ripostigli della sagrestia. Il Sergente ed io ascoltammo la S. Messa e la spiegazione del Vangelo fatta dal Cappellano che con un magnifico e simpaticissimo modo, consigliò ai soldati di sopportare con cristiana rassegnazione i disagi della guerra; guerra che nemmeno egli poteva sapere il perché il Signore l’aveva permessa! Diceva che da questi sacrifici avessimo tratto profitto per diventare buoni, essendo questa una dote necessaria per il buon andamento della società del dopo guerra. Indi il Cappellano fece alcune suonate all’armonica e dopo aver visitato il bel presepio ce ne ritornammo in fureria. Nel pomeriggio il Sergente Maggiore si recò all’ufficio Amministrazione di Kamno per riscuotere denari per la seconda cinquina di Febbraio, mentre io aggiornai i libri ed il giornale per il riscontro di detta cinquina. Venne nel contempo ordine dal Battaglione che fosse inviato all’Ufficio licenze il soldato Marchetti Aldo di Ferrara essendo disponibile una tradotta R7. Feci chiamare il soldato e lo avvertii di prepararsi per la partenza con R7 che passava da Ferrara ed andava poi a Ravenna. Dieci minuti dopo mi vedo arrivare il Piantone di fureria che era andato a Kamno col Sergente Vagnozzi, con un biglietto di quest’ultimo in cui mi ordinava di partire immediatamente assieme al Marchetti essendovi un posto disponibile colla tradotta R.5. Andai subito a prepararmi per la partenza ed arrivare in tempo al Comando per le ultime pratiche per non correre il rischio di perdere il turno. Appena pronto chiamai il sarto D’Onofrio, perché mi indicasse la via più breve, essendo egli più pratico di quei luoghi. Invece mi mise sulla strada che conduceva a Ladra anziché su quella di Kamno. Feci così 4 Km. in più perdendo tempo tanto prezioso. Il Marchetti sceso antecedentemente a Kamno ed interrogato dal Vagnozzi, come io non fossi disceso, rispose confusamente, aggiungendo per di più che io volevo partire solamente il 15 del mese. Fui quindi sostituito con un altro trovato d’occasione. Indescrivibile fu il mio rammarico nell’incontrare, nei pressi di Kamno, indrappellati i partenti ed apprendere dal Vagnozzi e Vasconi quanto era successo. Il Furiere cercò di farmi nuovamente avere il posto, ma inutilmente. Non mancò però, di rimproverare il Marchetti delle sue chimeriche dichiarazioni. Accompagnai il Vagnozzi a Ladra per visitare il  Capitano Paradisi, degente nell’ospedale da campo N° 18. Incontrammo il Tenente Albilito , siciliano, che ci pregò di fargli compagnia fino a Libussina, dove noi pure dovevamo ritornare. Cortese e geniale come sempre ci offrì delle sigarette, strada facendo ci narrò della sua mania di farsi credere un imboscato, anzitutto perché suo padre potesse vivere tranquillamente senza preoccupazioni per il suo unico figlio; poi perché nello scrivere e nel parlare ai parenti ed ai suoi paesani, si sforzava di narrare le cose più strane che dimostravano chiaramente essere egli un imboscato che non conosceva i pericoli e sacrifici della guerra; mentre in realtà era tutt’altro e cioè Comandante della 2a Compagnia del 155° Reggimento Fanteria in prima linea. A Libussina ci separammo. Tornato in Fureria, i Sergenti si meravigliarono di vedermi mentre essi mi credevano già in viaggio per la licenza invernale. Dispiacque pure al Tenente Mascherini e mi assicurò che la prima tradotta R.5 sarebbe stata a mia disposizione. Mi promise un paio di scarpe vecchie da sostituire  alle mie sfondate. Fino alle ore 2 del mattino il Tenente si trattenne a giocare col Furiere ed i Sergenti mentre io lavoravo continuamente.

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La mattina del 12 Febbraio, venne l’ordine per una tradotta R5  e mi accinsi a partire, senza però le scarpe del Tenente, perché era a dormire. Discesi faticosamente per la mulattiera gelata, correndo spesso il rischio di cadere. Giunto all’ufficio licenze l’amico Vesconi mi compilò regolarmente il foglio di via. Poi andai a prendere una gavetta di pasta e feci colazione. Fui indrappellato con altri 15 partenti e condotto alla visita medica dove fu accertato che non avevo né malattie veneree o contagiose. Mi diedero due scatolette e due pagnotte per il viaggio e fui condotto a Smast, dove risiedeva il Comando della 46a Divisione. Dovetti comandare il plotone per il breve tragitto, poiché Vasconi se la svignò in bicicletta. Giunto là trovai il sarto inviatomi dal Tenente con le sue scarpe usate per me, e la posta inviatami dal Furiere. Ci venne assegnato una baracca per pernottare, ma vista la ristrettezza di spazio, pensai che valeva la pena fare due kilometri e tornare a Libussina. Lungo la strada raggiunsi l’Aspirante Langella e facendo la strada in compagnia e chiacchierando mi sembrò più corta. In fureria al mio arrivo, credettero che fosse avvenuto qualche altro incidente, ma io li assicurai del contrario. Col Furiere facemmo la cinquina e redassi alcuni permessi per Caporetto a militari che desideravano di passare una giornata in baldoria con donne di malaffare. Dopo aver sbrigato la mia corrispondenza particolare, mi misi a dormire saporitamente.

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La mattina del 13 Febbraio di buon’ora ridiscesi a Smast, passando sulla cresta gelata della strada a rischio di cadere. Temevo di rompermi una gamba alla vigilia di rivedere la mia famiglia, dopo tanto tempo! Giunsi salvo in paese. Passaibuona parte della mattinata a correre per mettere via il freddo che avevo in corpo. Inquadrato con altri, fummo condotti da un carabiniere sotto una tettoia dove ci venne fatta una perquisizione e furono sequestrati diversi oggetti che i militariavevano pensato di portare a casa per ricordo di guerra. Furono persino trattenute borracce Austriache piene di polvere nera. Un ufficiale raccomandò di comportarci bene durante la licenza e del dovere di ritornare. Vennero consegnate le licenze verso le ore 11 e indrappellati ce ne incamminammo per Ladra a Caporetto. Lungo la strada incontrai i mensiferi Porta e Boselli ed a Caporetto, tutti i militari cui avevo fatto il permesso la sera precedente. Fummo messi in una tettoia in attesa dell’arrivo dei camions che ci dovevano trasportare a Cividale. Nel frattempo intesi un dialogo fra un carabiniere Bolognese che si chiamava Pedrini ed abitava alla cavalleria fuori Porta Saffi in Bologna ed alcuni automobilisti che assicuravano, essere vero, che gli Austriaci poche sere prima, attaccando improvvisamente a Costagnovizza  erano riusciti a portarsi fino alla piazza del Cristo di Gorizia. Difatti nel comunicato ufficiale di quel giorno vi fu un accenno. Giunsero finalmente i camions e saliti tutti quanti dopo due ore giungemmo a Cividale. Qui in un baraccamento, nuova  perquisizione, e mi fu sequestrata una delle due scatolette di carne in conserva perché .... non l’avevo mangiata nel breve viaggio, forse andò ad ingrassare la mensa dei sequestratori! Per fortuna che mi era rimasta solo una mezza pagnotta, altrimenti mi avrebbero sequestrata anche quella! Pazienza!  Il pomeriggio fu passato entro i baraccamenti, non essendo permessa l’uscita. Nella notte poco si dormì, perché tutti desideravano di mettersi nuovamente in viaggio per potere più presto possibile trovarsi a casa propria. 

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Era un pandemonio, chi urlava, chi cantava a squarciagola  canzonette napoletane, chi aveva molto bevuto, si che, alle ore 2 del mattino del 14 Febbraio, fui costretto ad alzarmi e seduto sulla polverosa branda mi misi a scrivere a questo diario. Poi presi due belle tazze di caffè che venne distribuito in una baracchetta in mezzo all’accampamento. Poco dopo fummo radunati per la riconsegna della licenza e mi vidi al fianco un bersagliere già operaio della Ditta Bertagni, certo Adelmo Ghermandi che durò fatica a riconoscermi perché ero molto dimagrito e fu contentissimo di avermi ritrovato in sì bella occasione. Fummo inquadrati e condotti alla stazione di Cividale dove in carrozza di terza classe fummo trasportati ad Udine. Scrissi un biglietto a Martinelli avvisandolo dove mi trovavo e vi sarei rimasto fino alla 12,30 e lo consegnai ad un ragazzo per il recapito. Nei baraccamenti presso la stazione, in attesa della partenza, facemmo con l’amico Ghermandi una colazioncina con pane, mortadella e formaggio, su di una panchina al sole. Ritornò il ragazzo avvertendomi che Martinelli era partito per Bologna. Alle 11 sfilammo per la bollatura all’Ufficio Tappe, fummo chiamati per Distretto, dando la precedenza alla Sicilia, a Roma, Firenze, Pistoia, Lucca, Forlì e poi finalmente Bologna, che aveva 73 partenti ed era seconda dopo Napoli per numero. Nessuno conobbi fra i tanti. Di nuovo indrappellati fummo condotti alla Tradotta e messi in coda essendo i primi a giungere a destinazione. Fra questi vi erano alcuni provenienti da Gorizia ai quali chiesi se veramente gli Austriaci erano giunti alla Piazza di Gorizia. Asserirono che erano arrivati solo al Cimitero, ma che con forti perdite, il nemico era stato ricacciato alle proprie linee. Alle 12,35 partì da Udine la Tradotta e fu un alternarsi di mangiate perché ad ogni fermata tutti si rifornivano di viveri. Dovetti, io pure, condividere i loro pasti, pagando la mia parte oltre la scatoletta ceduta. Venendo poi il buio, si chiusero gli sportelli del carro bestiame dove ci trovavamo e l’amico Ghermandi  ebbe l’incarico di accendere una piccola stufa in fondo al vagone. Nonostante la sua buona volontà di fare un po’ di caldo, non vi riuscì affatto e fece solo una grande quantità di fumo e soffocare i viaggiatori. L’improvvisato fuochista ebbe improperi e gli sportelli del vagone furono riaperti per non morire asfissiati dal fumo e dal puzzo scatenatosi. Col freddo serale ci stringemmo ben bene per attaccare qualche sonnellino. Nei pressi di Padova vedemmo i vagoni infranti per lo scontro della medesima Tradotta che la sera prima trasportava altri. Fu fortuna per me, il ritardo avvenuto a Libussina, altrimenti avrei corso il pericolo e forse avrei potuto essere anche fra i morti dello scontro disastroso. Avvicinandoci a Bologna, vedemmo che un alto strato di neve copriva alberi, siepi e terreno, la temperatura era più fredda. Il treno per me andava troppo lento, facemmo troppe soste! 

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Alle 2:45 del 15 Febbraio 1917 giunsi finalmente a Bologna. Mi feci promotore per reclamare al Comando di Tappa una proroga di un giorno di licenza, essendo giunti dopo la mezzanotte. Fummo respinti in diversi uffici, ma in quello del Maresciallo, trovai una mia conoscenza , certo Becchetti che lo interessai della cosa. Questi pregò un Bersagliere collega d’ufficio che diede reciso rifiuto. Fu allora che alzai la voce tanto da richiamare l’attenzione del Maresciallo, che stava scrivendo ad un tavolo poco distante, il quale, saputo da me il motivo della disputa, ci assicurò che avrebbe redatto e trasmesso un fonogramma al Distretto, col quale si doveva concedere a tutti gli arrivati in ritardo con quella tradotta una giornata di proroga. Felice del buon esito, salutai tutti e per le strade della mia vecchia Bologna, coperta di neve gelata, mi avviai verso casa in Via Barbariziana n°1. Alle mie tre suonate mia moglie corse ad aprirmi ed un lungo abbraccio con baci, ci fecero piangere dalla gioia. La trovai molto dimagrita per il denutrimento durante la mia assenza e per l’allattamento di mio figlio Augusto. I bimbi furono svegliati e li trovai ben messi. Il maggiore Beppe mi riconobbe subito e cominciò a scherzare, sempre, con le lacrime agli occhi dalla consolazione, la mia cara sposa si diede subito cura di recarsi in cucina a preparare un improvvisato pranzetto. La mattina seguente mi presentai al Distretto per la vidimazione della licenza e trovai l’ordine della proroga di un giorno come mi aveva assicurato il Maresciallo, e così potei rimanere a casa mia ben 17 giorni. Lavorai sempre tutto il tempo a casa, in ufficio, al mulino della barbona di Vergato ( vi rimasi tre giorni con l’intera mia famiglia ), in casa Galloni per l’ordinamento contabile ed l’inventario, per l’eredità del patrimonio lasciato dal mio amico Enrico, morto in guerra ecc. Feci visite, andai a pranzo dai miei principali, dai Morsiani, dai Botta ed altri.  Giunsi così al 3 Marzo, ultimo giorno della mia permanenza a Bologna e mi preparai alla partenza. Ebbi pure doni in commestibili, denaro dai miei principali i fratelli Bertagni ed altri. Lasciai mia moglie piangente, ed il mio bambino Beppe che mi andava ripetendo :   << Babbo torna presto,...>>

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