Archivio Vittorio Mascherini

una vita attraverso due guerre mondiali e la resistenza

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DIARIO DEL FURIERE FRANCESCO ORLANDI

Gennaio 1917

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Verso le due dell’1 Gennaio 1917 ci sdraiammo, sovrapposti come tante sardelle dentro il baracchino, dovendo questi ospitare anche altri commilitoni che erano discesi dalla trincea per cominciare l’anno nuovo in nostra compagnia. Verso l’alba i nostri furono spostati dalla prima alla seconda linea ed essendosi il Caporale Cubello sbagliato camminamento espose i militi ad un certo pericolo ! Un aeroplano nemico, in quella mattina, dopo aver per lungo tempo esplorato sul Vallone di Doberdò, lasciò cadere una bomba presso il Cimitero con gran fracasso, fumo, lancio di schegge, terra e sassi, senza danni alle persone. Ebbi la gradita visita di Capodanno dell’amico Pietro Cesari. Nel pomeriggio un nostro aeroplano costrinse un altro nemico a fuggire, dopo una lotta accanita. Verso sera, due mensiferi che si recavano in linea col sarto Nuziati, videro il nostro calzolaio Giordano che veniva colpito da una granata, che gli asportò una gamba.

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Il 2 Gennaio 1917 lo dedicai alla ricerca delle tombe dei miei amici Galloni Enrico e Poli Celestino. Col piantone Viola andammo all’infermeria in fondo al Vallone dal Cappellano Pasanali sig. Umberto, che ci fornì di un lasciapassare per il mesto pellegrinaggio. Visitammo così tutti i cimiteri del Vallone. Sotto Oppacchiosella potemmo ammirare moltissimi pezzi d’artiglieria pesante con deposito di proiettili. La strada era fangosa e rendeva maggiormente pesante la nostra marcia. Visitammo molti cimiteri Austriaci ben ordinati, simmetrici e con belle diciture. Nei nostri cimiteri vi erano tombe di Ufficiali con lavori artistici in cemento, ma di già deteriorati, oltrechè dal terreno poco sodo anche dal cattivo materiale messo in opera. Giungemmo in poco tempo dove presumevamo fossero le tombe dei miei amici, ma non trovammo tracce del 30° Reggimento Fanteria. Ma, alle tredici, presso Visentin ne trovai io una, ma sopra stava scritto “ Sconosciuto “. Tuttavia, sebbene un po’ scoraggiato, non mi tolsi d’animo e spronai il piantone Viola, ad aiutarmi ancora a proseguire le ricerche anche fra tanti cimiteri Austriaci. Ne trovai altri del 30° Reggimento Fanteria, morti nell’Agosto ed anche del Luglio 1916. Quella era certo la zona dove quel Reggimento aveva eroicamente combattuto, ed io quindi, dovevo trovare dove erano stati seppelliti i due miei amici morti, due mesi dopo la data Agosto 1916. Mi inoltrai ancora con Viola nella zona dove il lasciapassare più non valeva e fui fortunato perché non ebbi molestie dai Carabinieri, tanto rigidi ed esigenti sui militari a zonzo, anche nei cimiteri ! Difatti nel villaggio di Devitag ( Devetachi ), in un vallone grandissimo, un po’ distante dalla linea stradale, trovai tre cimiteri. Dopo molte ricerche, nel più grazioso e bello, potei finalmente trovare le tombe dei miei due carissimi amici. Misi a fianco delle loro croci alcuni rami sempreverdi e tolsi dalle zolle della tomba del Poli, l’unico filo d’erba e strappai un piccolo ramoscello da una pianta cresciuta sulla tomba del povero Galloni. Questi due ricordi li inviai, poi, alle loro spose. I sepolcreti erano composti di un rettangolo di terra rossastra, divisa in scompartimenti, una croce in legno, un cartellino di zinco a forma ovale con sopra la scritta in nero :

“ 30° Reggimento Fanteria .”

Soldato D’Amico – 11a Compagnia  N°81

Soldato Galloni    - 16a Compagnia  N°82

“ 30° Reggimento Fanteria.”

Soldato Poli Celestino – 16aCompagnia  N°84

Soldato Corrado          - 13a Compagnia  N°83

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Erano stati seppelliti due per ogni fossa colla variante che il Poli si trovava sopra l’altro, mentre il Galloni era sotto. Mi rivolsi ad alcuni cementisti che stavano costruendo tombe artistiche per Ufficiali, perché avrei voluto anch’io far fare qualche piccolo lavoretto sulle tombe dei miei amici, ma essi mi risposero  che non  potevano  fare lavori  estranei ai loro  

reparti e non potevano soddisfare il mio desiderio. Peccato, perché le tombe si trovavano in una zona adatta a qualche lavoro artistico, essendo in linea esterna di fronte all’ingresso principale. Era uno dei cimiteri più belli, coi lati del vialone principale ben adornati di varie tombe d’Ufficiali ed al centro era eretta una Chiesina in legno dedicata alla B. V. del Rosario. In quel momento stavano lavorando una ventina d’operai militari, muratori, cementisti, ed assicurarono che fra breve sarebbe diventato uno dei più importanti cimiteri del Vallone. Avvicinandosi la sera lasciai quel mesto luogo alzando una prece ai valorosi caduti per il dovere imposto dalla Patria. Giunsi tardi al mio rifugio e molto stanco, ma contento di aver trovato le tombe dei due carissimi amici Bolognesi coi quali avevo condiviso pericoli, fatiche e speranze.

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Il 3 Gennaio, il Furiere e il Caporale si recarono in 2a linea a fare la cinquina e fu una mattinata attiva dell’artiglieria nemica. Io rimasi a sbrigare i lavori di fureria anche il giorno 4 Gennaio, il Furiere e il Caporale se ne andarono a Redipuglia, il primo in partenza per la licenza invernale, il secondo per prelevare denari alla Cassa Reggimentale. Sapemmo che presto avremmo avuto il cambio e lo confermò anche il Caporale Pianigiani disceso dalla 2a linea, per averlo appreso, dalla bocca del nostro Colonnello Guerra. 

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Il 5 Gennaio rimasi ancora solo in fureria essendo andato il Caporale a Redipuglia all’ufficio d’amministrazione. In quella sera e notte vi fu un violentissimo bombardamento da ambo le parti. Un proiettile della nostra artiglieria, erroneamente, andò a cadere nella 2a linea dove si trovavano i nostri, senza arrecare danni a nessuno, solo panico !

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La mattina del 6 Gennaio cominciò nel Vallone il trasporto dell’artiglieria di grosso calibro verso ignota destinazione. Furono in maggioranza trasportati gli Obici da 280 per i quali da poco erano state costruite le piazzole.

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L’alba del 7 Gennaio portò l’ordine che i furieri d’alloggiamento fossero andati a Redipuglia a prendere in consegna i complementi del 156° disponibili, Caporale e piantone se ne andarono e io rimasi solo in fureria. Nel pomeriggio ebbi una visita dall’amico Pietro Cesari col quale parlammo a lungo delle nostre famiglie e delle nostre speranze di pace. 

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La notte dal 7 all’8 dovevamo lasciare la linea al 90° Reggimento Fanteria. Avendo compiuto in quel giorno i 36 anni mi giunsero gli auguri di mia moglie.  Alla sera ritornò Cesari e passammo la notte assieme dovendo partire insieme al mattino seguente. Fu una notte lunghissima perché rimasi sempre desto. Udivo i clamori del Reggimento nostro che discendeva di linea e lo scoppio di  granate nel Vallone, ma non si ebbero feriti.

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La mattina dell’8 Gennaio, dopo avere riscaldato un po’ di caffè ci mettemmo in cammino. L’alba illuminò le colline circostanti ed al nostro giungere a Doberdò, potemmo spaziare l’occhio fino alla laguna di Grado e le  Quote da noi ben conosciute. Indi discendemmo a Redipuglia. Vi giungemmo dopo due ore e mezzo di cammino affrettato. Lasciai l’amico Cesari e mi recai alla nostra cucina col Caporale furiere ed il piantone che erano venuti ad incontrarmi. Ci recammo all’accantonamento posto in una casa del paese. Mentre stavo facendo una distinta di vaglia, entrò il Capitano accompagnato dall’Aiutante che mi interrogò piuttosto irrequieto, avendo saputo che era giunta una circolare nella quale si ingiungeva di ridurre il personale di fureria che non faceva il proprio dovere, essendo avvenuto che durante la notte non vi erano stati indicatori di fureria che guidassero le colonne. E così dopo aver rimproverato il Caporale furiere, diede ordine che nella nostra fureria fosse diminuito il personale, togliendo le cariche al Caporale Pianigiani ed al piantone Viola. Nel pomeriggio giunse l’ordine di recarci a Medea a prendere in consegna i locali che la mattina seguente avrebbe lasciato il 156° per farvi pernottare il 155°. Il Caporale furiere non intendeva di partire, seccato dalla nuova disposizione del personale di fureria e per varie questioni di fucili consegnati al Battaglione etc, ma tanto feci e pregai sicché lo convinsi a lasciarmi partire da solo, se non voleva che si fosse ripetuto l’inconveniente successo la notte scorsa. Verso le ore 15 mi misi in marcia coi libri di fureria ed il mio equipaggiamento, infilando la via verso Polazzo. 

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A Sagrado incontrai molta artiglieria diretta a Monfalcone e reduce dal Trentino. Vidi il 1° e il 2° Reggimento Fanteria ritornare da una marcia con una misera e stonata fanfara in testa. Il Carabiniere di guardia al ponte di Sagrado mi interrogò e si meravigliò che anche il 155° andasse a riposo tanto lontano dalla prime linea. Zoppicando, per il male a un piede, mi diressi verso Romans. Fortunatamente un militare vivandiere ebbe compassione della mia marcia forzata e mi offrì il suo barroccio per salirvi. Mi narrò di essere di Vergato, ma vissuto sempre all’estero. Ci lasciammo a Romans. Presi la strada che conduceva a Fratta sulla quale conversai con uno del 20° Fanteria che si trovava a Chiopris al riposo. Non conosceva nessuno dei Bolognesi e quindi poco mi interessò il suo dire. Mi interessarono, oltre il Campanile di stile Arabo - Moresco, le sue donne, forse perché era un po’ di tempo che non ne vedevo ! Da Fratta a Medea trovai un militare del Genio che mi accolse nella sua carretta impolverata di cemento. Giunsi a Medea che era già buio e mi feci subito indicare il Comando di Presidio, che si trovava in fondo al paese in un magnifico villino. Fui introdotto in una camerina ben arredata ed ebbi le indicazioni che mi occorrevano. Incontrai poi  altri del 155° venuti pure per gli alloggiamenti. Stavano parecchi militari a far coda fuori dai negozi, essendo questi, pieni di militari che facevano acquisti di commestibili. Essendo molto stanco e desiderando riposarmi mi recai in un fabbricato interno dove trovai accantonato il 156° e precisamente la 1a Compagnia. Mi fu gentilmente fatto un po’ di posto nel piancito dove mi sedetti consumando l’unica scatoletta di carne di maiale che possedevo. Ebbi per vicino un certo Puglioli, che mi narrò di essere pure stato nella Svizzera e precisamente a Schiaffusa proprio nell’epoca in cui io pure ebbi a dimorarvi per una quindicina di giorni. Mi indicò il locale dove io pure mi recavo allora a bere la birra ed a ballare le poche Feste che ebbi a trattenermi. Passammo così un’oretta parlando delle cascate del Reno, che io pure avevo visitate, di Zurigo, Feurthalen, Basilea, Singhen, ed altri paesi nei dintorni fino dal 1908 !  Dopo mi stesi sul pavimento, mi avvoltolai nel cappotto col cappuccio in testa perché mi trovavo sotto una finestra che soffiava maledettamente e dormii saporitamente. 

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Alle ore 5 del 9 Gennaio, suonò la sveglia del 156° in partenza, ma non partì che alle ore 8! Ebbi allora in consegna i locali vuoti. Me ne andai per tempo sulla strada ad attendere l’arrivo della mia Compagnia che a ragione della pioggia era partita con un’ora di ritardo. Solo verso le 13 giunse sulla strada principale di Medea ed io col cappuccio in testa, causa la pioggia, guidai tutti all’alloggiamento. Il bello fu che a capo della Compagnia marciante incontrai un Brigadiere ed un milite dei R. B. Carabinieri, che credendomi un pezzo grosso, incappucciato col pastrano, mi fecero un bel saluto !

A Medea le truppe riposarono fino alla mattina seguente. Il piantone mi consegnò un pacchetto nel quale vi era un dono inviatomi da mia moglie per il mio compleanno, con cioccolata, caramelle e pasticche per la tosse. Facemmo subito onore al dono, distribuendo ai compagni. 

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La mattina del 10 Gennaio, partimmo da Medea dopo avere sfilato innanzi al Colonnello nella piazza del paese, per Medeuzza, Chiopris, San Giovanni di Manzano e altri paesi, giungemmo ad Orsano dopo oltre 30 Km. di marcia coi piedi gonfi e spellati. Qui le truppe dovevano riposare qualche giorno per rimettersi in forza. La lunga gita fu per me attraente sia per la bella giornata, che per il desiderio di riconoscere conoscenti fra i militari che assistevano sul ciglio della strada al nostro passaggio. Inoltre vidi parecchi aerodromi, paesi in parte bruciati da bombe d’aeroplani, chiese e campanili di diversi stili architettonici, belle praterie e canali gonfi d’acqua. Giungemmo a Orsano quando era già buio e la nostra Compagnia fu accantonata in diversi pagliai e stalle, mentre la nostra Fureria e le altre furono tutte radunate in una camera al primo piano interno con un piancito ordinario in tavole di legno. Non mi fu possibile chiudere occhio dal freddo a cagione anche di un uscio aperto, mentre il piantone e il Caporale furiere russavano, dormendo pacificamente tutta la notte. 

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Successe a me un fatto che merita raccontarlo.  Durante la notte un militare, che abitava in una camera vicina, uscì da essa e venne dove eravamo noi stesi a dormire sul pavimento, e cominciò a urinarci sopra.                                           A quell’inopportuna annaffiata si svegliarono anche i miei vicini che calorosamente protestarono contro il poco pulito spanditore d’urina, che senza farci le scuse del caso, se ne andò sull’uscio d’uscita a terminare le sue bisogna. Ci toccò di rivoltare le coperte ed i pastrani, nonché i tascapani che ci facevano da guanciali e pulirci la faccia dall’annaffiata poco igienica ! Non potendo avere una tavola per scriverci sopra, fummo costretti ad installare la Fureria al piano terreno della casa dove alloggiava il Tenente. Essendo poco distante da Udine, pensai d’andare a trovare l’amico Martinelli. 

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Il 13 Gennaio ci accordammo coi Sergenti Valenti e Petrilli per la gita. Mandai un ciclista dal Martinelli per avvisarlo che sarei venuto il giorno seguente, ma questo ritornò senza averlo trovato.

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La mattina del 14 partimmo di buon’ora e con una marcia di oltre un’ora giungemmo alla stazione di Remanzacco, proprio in tempo per prendere il treno che ci condusse a Udine. Avemmo la fortuna di trovare nel nostro scompartimento un milite addetto al magazzino Genio, dove l’amico Martinelli era adibito a magazziniere. Mi assicurò di averlo visto il giorno prima in ufficio e si offerse di indicarmi la località vicina alla stazione. Ma quale ingrata sorpresa !  Appena giunti ci dissero che il Martinelli era da 7 giorni in licenza invernale a Bologna! Mi recai dove alloggiava presso una casa civile e là vi lasciai un mio biglietto con saluti ed auguri, nonché il mio indirizzo qualora avesse desiderato venirmi a trovare. Facemmo lunghi giri per le principali vie di Udine e ci recammo alla locanda del “ Sergente ”, dove facemmo un lauto pranzetto con ben due minestre e vino abbondante ! Fu per noi una giornata di allegria e di svago. Dopo aver molto gironzolato ed acquistate parecchie cosette, ritornammo per mangiare di nuovo, ma un Decreto del Generale Cadorna vietava che fossero distribuite cibarie dalle ore 15 alle 18. Più tardi ci recammo al  “ Bersagliere”  per rifocillarci prima di ripartire. A tavola trovammo un Sergente delle mitragliatrici del 155° che incaricai di portarmi un mio biglietto a Cesari. 

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Il 17 Gennaio vennero impartiti gli ordini verso la linea di combattimento. Il Caporale Brancato ed un soldato furono inviati per prendere in consegna i locali dove si sarebbe dovuto pernottare, i baraccamenti dove eventualmente avrebbero ancora riposato alcuni, e infine, provvedere alla disponibilità ed utilità della truppa. Quelle ultime sere si mangiò molta polenta ben fatta , salame ed altro, si cercò di riposare il più possibile perché presto si avrebbe patito la fame ed il sonno.

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L’ordine di partenza fu alle ore 20 del 18 Gennaio. All’ora indicata sfilammo lungo lo stradone. Fummo disturbati dallo sbandieramento di alcuni paesani Interventisti chiamati alla leva della Classe 1898 che gironzolarono a lungo per il paese con drappi tricolore inneggiando alla guerra!  Epiteti poco espansivi furono inviati dai militari ai quei provocatori e valse molto la raccomandazione dei nostri Ufficiali a lasciarli fare, essendo inconsci delle fatiche, disagi e pericoli della guerra. Certamente fra qualche mese avrebbero pensato ed operato diversamente!  Dopo breve sosta venne l’ordine di partire colla Bandiera del Reggimento in testa e per Premariacco ed altri piccoli paesetti giungemmo a Cividale. I miei piedi si trovavano rovinati da vesciche prodotte nella marcia precedente, dai geloni aumentati dalla mia immobilità nel pianterreno della mia fureria, mi facevano camminare molto zoppicante e passando il mio Colonnello si fermò a chiedermi il motivo e saputolo, mi disse che potevo marcare visita. Risposi ringraziando. Mi chiese ancora se potevo continuare la marcia. Sorridendo dissi che lo speravo. Allora egli sorridendo mi rispose : “ Bravo, sei coraggioso e mi piaci! ”. Difatti riuscii a superare lo sforzo e con incredibile male ai reni e poca forza nelle gambe potei unitamente agli altri compiere la prima tappa della lunghissima marcia. Avevamo già coperto i 18 Km. di distanza da Orsano a Brischis. 

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Ci fecero accantonare in baraccamenti fatti come i tombini sovrastanti nei porticati della Certosa di Bologna. Era ridicolo vedere arrampicarsi armati e stracarichi questi militari, come tanti spazzacamini su per la canna. Mi buttai sul tavolato sfinito, mi levai le scarpe ed avvoltolai  i piedi rotti e le gambe indolenzite nelle coperte e presi sonno. Fui svegliato più tardi quando mi venne dato un po’ di rancio. Passai bene la notte, ma la mattina seguente quando provai a girare, le gambe non mi reggevano ed i piedi toccando il terreno mi facevano provare forti dolori. Pensai che in quella giornata il viaggio sarebbe stato molto più lungo e sembrandomi impossibile poterlo effettuare in quello stato miserando, memore di quanto mi aveva consigliato il Colonnello, mi misi in nota fra coloro che reclamavano un po’ di cura ai loro corpi malati. Ci presentammo in 13 che non fummo nemmeno ricevuti dentro la camera della visita medica e rimandati in Compagnia come tanti bugiardi. E dire che alcuni avevano la febbre abbastanza alta ! Miserie ! Per eseguire la nuova marcia il meglio possibile, mi misi in testa alla colonna, di fianco al Comandante e con sforzi erculei, sudando, sbuffando, soffrendo tutti i dolori incurabili, riuscì a fare completamente il viaggio di 22 Km. con tutto quel po’ di peso addosso. Il viaggio della seconda marcia fu molto attraente per la maestosità delle cime nevose che ci circondavano, per i corsi di abbondantissima acqua limpida e spumante, per le folte abetaie e i minuscoli paesetti con case costruite più di legno che di sassi e pietra, assomiglianti a baraccamenti.

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Giunto a Caporetto passando tra i curiosi, riconobbi un Territoriale del 63° Reggimento, un Bolognese, l’avvertii che anche altri mi seguivano ed egli poi, ben riconobbe. Passato il paese voltammo a sinistra e per il ponte piegammo a destra, giungendo alle quindici al paesetto di Ladra, fine della seconda tappa. Fummo accantonati in una stalla mezza scoperta dove in un cartello esterno portava questa scritta : “ Luogo per n° 60 cavalli o 360 uomini ”. Maggior spazio per le bestie che per gli uomini in guerra ! Essendosi il Furiere fermato a pranzo a Caporetto, io impiantai la fureria nella stalla, sulla paglia con tutti gli altri. In quella vallata fra i monti alti e nevosi, il freddo era intenso, ed il vento lo rendeva ancora più insopportabile. I portoni della stalla stavano aperti tutto il giorno ed io che dovevo scrivere avevo sempre come degli aghi piantati nelle dita. 

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Il 21 Gennaio ebbi la gradita visita dell’amico Ferrari giunto il giorno prima a Kamno. Mentre parlavamo giunse il Comandante della Compagnia il Tenente Mascherini Sig. Vittorio, che avvertì della partenza del Battaglione per le ore 21 della sera stessa.  Ricorderò sempre la sfilata della caratteristica partenza. Tutti forniti di passamontagna, guanti e cappucci, con armi e bagagli, sembravamo tanti vecchioni della Befana in viaggio per portare doni ai bimbi fortunati ! La Fureria sarebbe partita la mattina seguente.  Ma un contrordine fece rientrare tutti dopo mezz’ora. Si riposarono fino alle ore 4 del mattino poi ripartirono. Io attesi fino alle ore 8 ed in compagnia dei sarti e del piantone Viola ( posto quest’ultimo su di una carretta del Battaglione essendo ammalato) , ce ne andammo a Scelisce. Per accorciare, prendemmo la mulattiera che stavano allargando e riparando alcuni Alpini con grossi sassi. Facevano anche argini e spalti. La breccia della nuova strada fu la delizia dei miei poveri piedi ! Lungo la strada raggiunsi e sorpassai il 3° Battaglione e rividi Cesari in mantellina che fumando con una pipetta se la marciava allegramente. Conversammo un poco e poi raggiunsi i miei compagni. 

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Giungemmo a Scelisce il 22 Gennaio alle ore 10. Istallai la Fureria in un pulitissimo cantinino con tavole nel piancito ed imbiancato da poco con calce bianchissima, mentre tutto il fabbricato era sbrecciato dai cannoni e tutto scoperchiato. La Compagnia fu invece accantonata in un valloncino di sotto, in baracche di legno, ricoperte di terra erbosa. Da un po’ di tempo non si era fatto sentire il cannone nemico sui fabbricati, ma quella sera un 305, sfondò una cucina colpendo in pieno un militare che rimase cadavere all’istante. 

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Il 24 Gennaio alcuni Sottufficiali si recarono in prima linea per prendere visione dei posti da occupare nella notte e ridiscendendo narrarono il seguente episodio : “ Nella notte precedente un Caporale di cucina del 156° si era recato con altri compagni, muli e marmitte a portare il caffè in linea avanzata. Per il buio della notte sbagliò camminamento e si ritrovò nella linea nemica. Gli Austriaci gli assorbirono tutto il caffè e gli chiesero del perché noi Italiani non desideravamo fare la pace e con un biglietto sul quale scrissero” << Buono il caffè Italiano >>, rimandarono il Caporale verso la nostra linea. Rientrato narrò sorridendo la sua avventura.

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Nella notte, all’11a Compagnia del 156°, si ebbero tre morti e otto feriti per una Bombarda in una baracca addossata al monte, dove avremmo dovuto accantonare noi la sera precedente a Gabria. Nel pomeriggio ritornò da Roma il Sergente Panatta che ci offerse salciccia, pane e ciambella. Furono vuotati anche parecchi fiaschi, bevuti allegramente, alla salute del ritornato. In quel giorno si ebbe sentore della nomina del Sergente Maggiore della mia Compagnia all’approvvigionamento del Comando di Reggimento, e del Caporale Furiere alle salmerie della Divisione. Il Sergente Maggiore era in licenza e si attese il suo ritorno. Il Caporale Furiere consegnò a me il giornale, conti ed altre pendenze colla Fureria e se ne andò alla nuova destinazione. Ma poi, volendo godere della licenza invernale, rientrò in Compagnia, mandando un altro Caporale in sua vece.

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Alle ore 17,30 del 24 Gennaio nevicava a larghe falde ed io, in attesa di ordini, ero ben coperto col passamontagna, carico di armi, bagagli e fornito di Alpenstok in testa alla Compagnia. Venne l’ordine della partenza e con passo svelto passai per luoghi incantevoli, ma pericolosissimi. Giunto ai Mulini di Gabria, ebbi l’ordine di proseguire con tutta la Compagnia per l’alpestre sentiero rumoreggiante per la cascata d’acqua, per lo stridere dei nostri scarponi chiodati ed il battito degli Alpenstok sui sassi. Ben presto la rapida salita mi fece rendere più moderato il passo, salvo il luogo pericoloso in cui il nemico buttava sempre sassi, che fu fatto di corsa. Quella salita fantastica sul tappeto bianco nevoso, con la fitta boscaglia, mi facevano l’effetto di assistere ad uno spettacolo cinematografico di escursioni in alta montagna, anziché ad una faticosa marcia in zona avanzata. Qualche fucilata passava sopra le nostre teste e sentivamo sibilare le pallottole. Un riflettore, laggiù, verso Santa Lucia,  spesso ci illuminava, ed allora mi fermavo per non dare occasione al nemico di scoprirci e bombardarci. Finalmente giungemmo ai ricoveri, sparsi, nel dorso della scoscesa montagna. Fui gentilmente ospitato in uno dei migliori baraccamenti notati dai Sottufficiali fino da quando andarono a prendere visione del luogo. Eravamo stretti e per di più  giunse il barbiere Pellati che stava in parte sdraiato sulle mie gambe tutta la notte, sebbene io brontolassi ! Caratteristico fu il fatto accaduto alla visita medica. Un militare che aveva marcato visita per il male ai piedi, gli fu ordinato un bicchiere d’olio di ricino. Questi trovando un po’ strano il medicamento, davanti all’Ufficiale Medico se lo vuotò sopra le scarpe. Va senza dire che il paziente fu punito con rigore fra le risate dei presenti.

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La mattina del 25 Gennaio cambiai ricovero, ridiscesi un poco e mi accantonai in una baracca di fianco al Comandante di Compagnia, e lì installai la Fureria e lavorai più comodamente. A Gabria dopo il nostro arrivo si notò un insolito scambio di artiglieria, mentre prima poche fucilate e bombarde disturbavano le nostre truppe. Anche di là, forse, avevano avuto il cambio con gente più pugnace! 

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Il 26 ritornò dalla licenza il Furiere Vagnozzi e mi regalò un bel pezzo di cioccolata con le mandorle. Discesi a Volarie nella nuova Fureria e vi rimasi con lui per il controllo del giornale da me tenuto durante la sua assenza e tutti gli altri conti dipendenti dalla 1a Compagnia. Ritornai ai Mulini di Gabria nel pomeriggio a fare da Furiere in linea. Il Comandante mi chiamava spesso per gli ordini, per verbali, per relazioni e per conversare. Ad un dolce fuocherello parlavamo delle nostre scappatelle di gioventù, della nostra città e dei conoscenti. Presi una forte tosse che alle volte mi provocava il vomito.

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Il 29 venne l’ordine di partire, ma tale buona notizia fu rattristata da una grave disgrazia. La mensa Ufficiali che si trovava vicino al Ponte dei Mulini presso la strada che conduceva a Tolmino, era un po’ troppo scoperta al nemico, che aveva notato certamente l’andirivieni dei poco cauti Ufficiali del nostro Battaglione. La mensa era appena ultimata quando 5 granate nemiche da 75 scoppiarono sopra la casa, una, sfondato il tetto, uccise, nel piano superiore il capo-cuoco Torello e ferì gravemente l’Aspirante Gusmano. Al piano terreno ferì pure il mensifero della 1a   Compagnia Eraldo Canella, nonché il Capitano Paradisi, Comandante in quell’epoca il Battaglione. Tutti gli altri che stavano seduti a tavola rimasero illesi. Il mio Tenente, il Signor Mascherini, aveva da poco lasciato la mensa e fu ben fortunato di non trovarsi presente a quel triste spettacolo.  Quella sera fui incaricato di preparare i verbali di consegna a quelli che dovevano darci il cambio ed io fui incaricato di fare la consegna al nuovo Comandante, che arrivato, si meravigliò sentendo da me che anche la Classe del 1881 era in quella zona pericolosa e che io avrei potuto benissimo essere suo padre! Avute le firme nei verbali di consegna mi misi in cammino e ben presto raggiunsi la coda della mia Compagnia che stava salendo nuovamente per raggiungere la prima linea del Vodil, Sezione E, ad una altitudine di circa m. 1440. 

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La lunga mulattiera per me faticosissima sebbene portassi ben poca roba, avendone presa buona parte il mio nuovo piantone Giorgio Molinari, che mi serviva come un attendente per tutte le mie bisogna. Spesso ci buttavamo distesi sulla neve sfiniti per prendere fiato e lena. La mia tosse si irritava a più non posso e dalla bocca usciva una spuma biancastra! Perdetti quasi la voce e per più giorni parlai sottovoce nonostante che il mio servizio di Furiere in linea, richiedesse il contrario. In un punto difficile a proseguire, per lavori ai camminamenti e per di più esposti al nemico, il Sergente Petrilli ed il Tenente Mascherini fecero fermare la truppa e mi mandarono in prima linea ad avvertire che eravamo lì sotto pronti per il cambio. Nello stretto camminamento con salti e sbalzi raggiunsi il baracchino del Comando posto nel sasso vivo. Ero tutto sudicio ed infangato avendo dovuto avanzare fin lassù a forza di gomiti, fra il camminamento in parte diroccato e girando ginocchioni allo scoperto per non essere preso di mira dalle mitragliatrici nemiche. Mi rinfocillavo spesso con quella neve gelata per calmare l’arsura della mia gola prodotta dalla grande fatica. La distanza dal nemico, dove si trovava il ricovero del Comando Compagnia, non era superiore ai due metri in linea quasi perpendicolare, egli dominava la cima, noi appollaiati appena di sotto. La nostra linea era perciò pericolosissima e ci toccava di parlare piuttosto piano ed in dialetto per non farci sentire dagli Austriaci, che non mancavano di ruzzolarci addosso pezzi di terra e sassi. L’angusto ricovero, da me e dal Tenente abitato, consisteva in un piccolo vano scavato nel tufo. Il mobilio era composto di una piccola branda, di un tavolino rettangolare di abete, di un telefono da tavolo e di una stufa di ferro, a porcellino, da legna. Quello per noi era l’ufficio, la mensa, il giaciglio, la sala da gioco e da conversazione. Avevamo in consegna coperte, calzari, generi di conforto e munizioni. Ci fu dato nota dei vari servizi di sorveglianza, corveè, turni ai posti avanzati, nonché il cifrario telefonico di quel settore. Si sturò subito una bottiglia di Valpolicella e si brindò alla salute nostra dopo aver telefonato al Comando di Reggimento il cambio di truppa effettuato. Poi cominciai  a  redigere  fonogrammi  cifrati  al  Battaglione,  che  aveva  un   telefonista   con  attitudini opposte alla sua mansione. Tanto il Tenente che io ci imbestialimmo spesso per farci intendere, tanto più che io, essendo senza voce, dovevo fare sforzi inumani. La notte fu lunga e me la passai ad ascoltare e decifrare i fonogrammi che intercettavo col nostro apparecchio. La corveè del 156° che faceva servizio per il nostro rancio cominciò col farci fischiare, rifiutandosi di salire fino a noi e lasciando a terra, abbandonate, le nostre razioni di viveri, presso il Comando di Reggimento, molto più in basso. Le marmitte con brodo e caffè le riportarono con loro, distribuendo ai baracchini ed agli isolati il desiderato liquido a noi spettante in prima linea. Pochi, per non rimanere digiuni, azzardarono la loro vita in pieno giorno per arrangiarsi un’abbondante razione viveri. Nella prima notte il nemico ci molestò ben poco, e le nostre vedette si astennero dallo sparare, perché, essendo i più esposti, sarebbe loro toccata la peggio. 

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Il 31 Gennaio 1917 non vi fu gran movimento nemico. Al Geofono ( apparecchio conficcato nel terreno per udire sensibilmente i suoni lontani ) si udì verso le ore 20 un rumore di perforatrice e verso le 22 uno spiccato tintinnio di gavette e cucchiai ruzzolanti, segno evidente che si gustava il rancio dei nemici. Anche il cannone ed il fucile si fecero ben poco sentire. In quel giorno dal mensifero del Tenente mi fu dato un po’ di minestra, un po’ di bistecca ai ferri e due sardine, per me fu proprio un pranzo speciale! In quel giorno mi venne sangue al naso più volte e la tosse fu più tediosa. Il mal di gola andò aumentando e non potevo neppure deglutire la saliva!  La posta mi portò la triste nuova che mia moglie era malata di congiuntivite ad un occhio, come pure mio figlio Beppe. Eravamo dunque tutti ammalati! E pensare che fra poco avrei dovuto andare in licenza.  Alla sera, nel tardi, il nemico diede certamente cambio alle truppe in linea perché, tutte le nostre vedette notarono il caratteristico rumore di armi. Un caso speciale fu quello che gli Austriaci dopo aver suonato un corno, gridarono ripetutamente “ Evviva l’Italia “. Non si seppe il significato di queste grida, ma si dubitò che l’Italia avesse fatto la pace propostale dalle Potenze Centrali. Poi venne il sospetto di un tranello per parte del nemico e si raddoppiò la sorveglianza alla nostra linea e ai posti avanzati. Nel tardi venne a farci visita il Maggiore Ferrari. Il Tenente mi fece le lodi per lo zelo con cui facevo il Furiere in linea e l’aiutassi dappertutto diligentemente. Parlammo sui luoghi più facili per una irruzione nemica per rinforzare ancor più la linea in quelle località. Insistette per far prigioniere le vedette nemiche spesso trovate addormentate, come era stato fatto le sera precedente da un Plotone di altro Reggimento alla nostra sinistra. Il Maggiore salì poi nei posti avanzati interrogando anche le sentinelle, attirandosi ancor più le simpatie per il suo fare educato e gentile. Alcune sentinelle lo riconoscevano al suo avvicinarsi e dimostravano maggiormente di disimpegnare con zelo la loro delicata mansione.

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