Archivio Vittorio Mascherini

una vita attraverso due guerre mondiali e la resistenza

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Resoconto del cappellano Don Angelo Beccherle

copia dell’originale trasmesso

alla segreteria stato del vaticano

e al C.N.L. sui particolari della fucilazione

dei cinque patrioti

avvenuta il 22 marzo 1944 al Campo di Marte.

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Queste memorie sono state pubblicate dal Comune di Firenze al tempo del sindaco Luciano Bausi. I documenti dei testimoni oculari delle esecuzioni avvenute il 22 Marzo 1944 al Campo di Marte sono stati pubblicati tali e quali nella loro viva immediatezza. Nella pubblicazione a cura del Comune di Firenze furono omessi i nomi dei componenti il Tribunale che emanò la sentenza, e quello del Comandante del plotone d’esecuzione. Tale omissione fu spiegata con queste parole: “ E’ necessario infatti ricordare, per agire in modo che non tornino più tempi tanto atroci. Controproducente oltre che inutile coltivare sterili animosita’. Tali nomi sono presenti in questa copia e sono stati tratti dal libro scritto da Alberto Marcolin “ Firenze 1943 - 1945 “.

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La mattina del 21 Marzo 1944 seppi che erano stati condannati a morte sette renitenti alla leva repubblicana fascista. Già il giorno prima seguivo attentamente lo svolgersi del processo ma non ero riuscito ancora a conoscere la sentenza. Ero assai turbato e mi offrii di assisterli.

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    Verso la sera del 21 marzo mi recai a San Gallo e dalla Superiora ebbi cognac, caffè, anice e sigarette, carta da scrivere. Alcuni ufficiali che sapevano del doloroso incarico diedero pure delle sigarette per i condannati. Arrivati in macchina con l’Altarino da campo al carcere delle Murate, lo stesso comandante del carcere, maresciallo Mangiacapra, ci introdusse nel suo ufficio, dove poco dopo venne il direttore delle carceri dott. G.B. Mazzarino; qui appresi la prima vera storia dei non più sette, ma cinque condannati a morte, essendo due stati graziati. I nomi dei condannati a morte erano i seguenti:

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Raddi Antonio   di Attilio e Boni  Antonia,  nato il  

                                         20-5-1923 a Vicchio di Mugello

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Targetti Guido   di Cesare e di Roselli Anna, nato il

                                    3-9-1922 a Vicchio di Mugello

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Corona Leandro di Daniele e di Corona Maria, nato

                                     il 4-5-1923 a Maracalagonis ( Ca )

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Quiti Ottorino   di Pietro  e  Rondini  Luana,  nato

                                     l’ 8-9-1921 a Vicchio di Mugello

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Santoni Adriano di Italo e fu  Rossi Marianna, nato

                                     l’ 1-7-1923 a Vicchio di Mugello

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I nomi dei graziati sono i seguenti:

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Raddi Marino         di Attilio e di Boni Antonia,  

                    nato     il  20-5-1923 a Vicchio di Mugello

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Bellesi Guglielmo   di Amerigo e di Cecconi Adele, nato

                                         Il 15-7-1923 a Vicchio di Mugello                                  

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Condannato a 15 anni di reclusione:

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Chirico Domenico   di Saverio e di Benedetto Saverina, 

                        nato il 17-7-1924 a Reggio Calabria

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Condannato a 20 anni di reclusione:

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Cestinoli Giuseppe  di Vittorio e di Landi Attilia, nato 

                                          il 23-8-1922 a Borgo San Lorenzo

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Condannati a 24 anni di reclusione:

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Boni Aldo          di Antonio e di Mei Giulia, nato

                                      il 20-2-1923 a San Piero a Sieve

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Baggiani Dino      fu Giovanni e di Bangini Maria, nato

                                      il 21-1-1924 a Vicchio di Mugello

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Il generale di corpo d’armata Enrico Adami Rossi che era il comandante militare della Toscana costituì il tribunale straordinario militare. Proprio questo tribunale, valendosi del durissimo codice di guerra condannerà i cinque giovani renitenti alla leva.  Il processo fu tenuto nella sede del circolo rionale Dante Rossi in Via dell’Agnolo e durò un giorno.  Il tribunale militare di guerra era presieduto dal generale di divisione Raffaele Berti. Lo componevano il colonnello Adimaro Adimari Morelli, il tenente colonnello Antonino De Meta, il capitano Raffaele Marchesi e il capitano Alessandro Baggio Ducarne.

      

 Il Direttore del carcere era molto costernato e mi raccontava con sdegno delle ingiuste condanne: aggiungeva di aver tentato quanto era possibile per salvarli. Conosceva soprattutto uno dei cinque condannati a morte, il Targetti, del quale si era particolarmente interessato conoscendo le disgraziate sorti della famiglia.  Ogni cosa era riuscita vana.

        

Fu allora che io suggerii al Direttore l’ultima via da tentare: perché non interessare il Cardinale? Non riuscirà neppure lui a salvarli ma non omettiamo neppure questo tentativo. Il Direttore fece subito chiamare il Padre Carlo Naldi dei Filippini di S. Firenze e assieme a lui andò immediatamente dal Cardinale. Erano le otto di sera. Rimasi nel carcere in attesa fino alle ore 23, senza poter vedere nessuno e sempre in aspettativa di una telefonata.  Finalmente questa venne: purtroppo, nulla era stato possibile fare. I responsabili di queste vittime si errano resi volontariamente irrepetibili. Allora il comandante del carcere diede l’ordine di far venire uno alla volta i condannati a morte in una cella accanto all’ufficio suo. Erano nel centro delle carceri, rinchiusi in due celle, assieme ad altri non condannati a morte.

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Il primo ad arrivare fu il Raddi, con un volto esterrefatto, barcollante, tutto esasperato, il quale, appena mi vide proruppe in grida esasperate. Sorreggendolo, lo condussi nell’ufficio del comandante. Cercai di consolarlo, di parlargli, ma per alcuni minuti dovetti lasciarlo sfogare. Poi, vedendo che ogni mio dire era vano, volli infondergli ancora speranza, dicendogli: <<Coraggio, vedi tuo fratello Marino è stato graziato, chissà che la grazia non venga pure per te ! >>  

Lui rispose:  << Ma è vero ? Me lo assicura ? Mi  tradirà ? >>.  <<  Si, Antonio, è  graziato,  è salvo ! >>  Allora si ricompose subito, si asciugò gli occhi e me lo vidi in ginocchio:  << Padre, mi confessi, non ho paura di morire; di due figli la mia mamma ne ha almeno uno, che grazia mi ha fatto la Madonna ! >>

Si confessò, era commosso, era rassegnato. Terminata la confessione, mi prese le mani e fissandomi mi disse: << Padre, mi guardi negli occhi, mi fissi bene: non ho paura di morire: sono innocente e sorrido, in faccia alla morte >>.  << Bravo Antonio, ora scriverai una lettera alla mamma, ai tuoi cari >>.<< Si, Padre, e voglio scrivere anche al mio Priore che mi ha sempre voluto bene >>.  Così lo feci passare in un altro ufficio e si mise a scrivere.

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Intanto, erano venuti pure gli altri quattro condannati. Erano disperatissimi; gridavano, si dimenavano, si buttavano a terra, mi abbracciavano e a mani giunte invocavano pietà, quasi che io potessi salvarli. Volevo lasciarli sfogare, volevo consolarli, volevo aiutarli, volevo pure calmarli. Non sapevo neppure io che fare. Per più di un’ora durò questa estrema esasperazione, eppoi venne il collasso fisico e morale per tutti. Santoni svenne e si riebbe più volte, poi rimase svenuto tutta la notte.

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Non riuscivo a fargli prendere niente, non volevano fumare, poi aiutato dai secondini li convinsi a prendere una sigaretta che non fumarono. Targetti Guido rimase tutta la notte molto serio, ma impavido, senza neppure fare una lacrima, parlava, ragionava sulla sua ingiusta sorte, ma per nessuno ebbe parole di recriminazione: mi mostrava delle fotografie; mi parlava e chiedeva notizie della sua mamma che aveva lasciata moribonda e diceva che era rimasto a casa per assisterla perché era assai grave. Mi parlava di un suo fratello impiegato al Banco di Roma. << Lui si interesserà di me, non mi devono fucilare, non ho fatto nulla di male, ho combattuto ed ho sempre fatto il mio dovere, ero Guardia alla Frontiera e non sono mai stato punito >>. 

Allora lo invitai a scrivere. Gli dissi: << Su Guido, da bravo, conforta i tuoi cari ! >> 

E’ tutt’ora presente, in tutti i suoi atti, serio, forte, seduto con la penna in mano in un angolo dell’Ufficio Matricola: scrisse la lettera con una tranquillità e serenità ammirevoli. Di tanto in tanto mi aiutava ad incoraggiare gli altri. Dietro una fotografia scrisse una semplice dedica: Targetti Guido, caduto il 22-3-1944. Primavera. Mentre ad un certo momento della notte lo lodavo per la sua calma, mi rispose: << Cappellano, so quello che mi sta per accadere perciò non so se riuscirò a mantenermi così >>. 

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Il più disperato era il sardo Corona, gridava continuamente: << Mi fucilano, ma io non voglio morire, io sono innocente ! >>  E queste due ultime parole le gridava in tutti i toni, mordendosi le mani. E poi continuava ancora: << Sono ancora giovane, non devo morire >>. Esasperato, girava per la nuda cella, cercando quasi scampo, poi sostava, cadeva a terra svenuto, si riaveva presto, mi abbracciava forte dicendomi: << Padre, non voglio morire, mi deve salvare, ho la mamma lontana >>. Piangevo con lui e per tutta la notte continuò in questa esasperazione. Ad un certo momento si alza quasi impazzito e urla: << Non voglio che mi fucilino, mi ammazzo io da solo >>. 

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Allora il Targetti, sempre calmo disse: << No Leandro, noi siamo innocenti, non ci dobbiamo ammazzare, ci ammazzino loro >>.<< Scrivi anche tu ai tuoi cari >>.

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Pure Quiti non si sapeva rassegnare, volle telefonare a dei parenti, riuscii a metterlo in comunicazione, ma non appena sentì la risposta al suo pronto, venne interrotta la comunicazione. Allora si mise a piangere disperatamente:  << No Padre, non mi confessi, perché dopo mi fucilano >>. << Confessati --- replicò il Targetti --- perché quei delinquenti ti fucilano lo stesso. E’ Meglio per te andare alla morte con l’anima a posto! >>. Verso le quattro del mattino si celebrò la Santa Messa, assistevano seduti tutti, eccetto il Targetti che volle stare in piedi. Bella quella Messa in carcere, supremo conforto a cinque condannati a morte ! Vi assistevano pure alcuni secondini e il comandante delle carceri. Fecero tutti e cinque la loro Comunione per viatico: subito dopo il Santoni svenne nuovamente e così il Corona. Terminata la Messa e fatte alcune preghiere ci radunammo tutti in cerchio a sedere. Le ore non passavano mai; i poveri giovani erano abbastanza sereni: si ragionava insieme della loro sorte e cercavano parole di speranza. Facevano a volte discorsi molto ingenui: << Cappellano, ci faranno tanto male quando ci fucileranno? Per le sette, saremo morti ? I giornali parleranno di noi? Ci diranno traditori, ma noi siamo innocenti ! Diranno che avevamo armi, ma noi eravamo tutti a casa nostra, disarmati. Come si starà sottoterra, morti ? >> 

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Questi e cento altri discorsi simili facevano qui poveretti, mentre cercavano da me parole di speranza. Non gliene potevo dare. Era imminente l’esecuzione, e illuderli sarebbe stata empietà e delitto: << No, ragazzi, basta con questi discorsi, confidate nel Signore, che prima di voi subì la più ingiusta morte ! >>. << A che ora ci fucileranno? >>, era la domanda più insistente. Ed io, laconicamente, rispondevo:  << Non lo so >>.

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Allora il Targetti disse: << E’ meglio che ci prepariamo >>. 

Erano le cinque: mi consegnò delle lettere, poi incominciò a frugare nelle tasche e mi consegnò il portafoglio e così fecero gli altri. Mi consegnarono tutto quello che avevano nelle tasche e mi diedero alcune sigarette: << Queste, tenetele per voi >>, dissi io: << No, Padre, bastano due >>. << Ma no, tenetevi tutto, ancora non vi fucilano >>.

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I secondini mi aiutarono a convincerli, ma ormai sentivano imminente la fucilazione: << E’ ormai giorno, alle sei ci vengono a prendere ! >> <<  Ma chi vi ha  detto questo ? >> << Padre, le fucilazioni si fanno sempre di mattina >>. Per accontentarli, fui costretto a prendere ogni cosa, assicurandoli che avrei eseguito tutte le loro volontà. Seguirono alcuni momenti di silenzio   ( come erano lunghi quegli istanti ...) poi un suono lungo di campanello diede l’allarme:  << Eccoli, vengono a prenderci >>, dissero tutti impauriti e cominciarono a piangere disperatamente, correndo all’angolo opposto alla porta.

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Questa si aprì. Si affacciò un brigadiere dei carabinieri: momento terribile... Con le manette in mano si avvicinò a Raddi. Questo presentò i polsi e disse. << So che tu sei comandato e non ne hai colpa: io ho sempre voluto bene ai carabinieri, non stringere forte perché mi faresti male >>. A queste parole il carabiniere finse di cercare qualcosa, diede le manette ad un altro e uscì solo a piangere...  Altri due carabinieri fecero lo stesso. A queste scene mi commossi pure io, e il Raddi vedendomi piangere disse: << Padre, non voglio che pianga, ci deve fare coraggio e starci vicino. Vede che io non piango ? Quando sarò in Paradiso pregherò per lei, ma ora non ci deve abbandonare: stia vicino, ho bisogno di lei >>.

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Un brigadiere finalmente riuscì a mettere le manette al Raddi e poi agli altri quattro... Li aveva legati insieme, ma il Corona svenuto tirò a terra tutti gli altri... Allora vennero separati e, sorretti da me e da alcuni secondini e carabinieri, tradotti nella macchina del cellulare. Il Corona ed il Santoni erano privi di sensi. Il Targetti era serio e taceva. Raddi pure era serio e chiedeva continuamente: dove ci portano ? Corona si riebbe quasi subito e con Quiti cominciò a piangere e a gridare per tutto il tragitto:   << Aiuto, pietà, ci fucilano, non avete la mamma, ci fucilano, il nostro sangue vi resterà sull’anima, griderà vendetta ! >> Erano impazziti dal dolore. Ero seduto in mezzo a loro e non facevo che sorreggerli, accarezzarli e baciarli.

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Giunti al Campo di Marte, videro le molte reclute schierate per assistere alla fucilazione.  << Guarda – disse il Quiti – guarda quanta gente alla fucilazione >>, e si nascose la faccia in un angolo della macchina. Cercavo di nascondere loro tutti quei preparativi, ma da alcune fessure della macchina potevano vedere tutto !

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<< Guarda le sedie con le bende ! >>  <<  Guarda il plotone che ci deva fucilare ! >>, disse il Raddi e urlando chiamava alcuni del plotone che, schierati in dodici per parte dalla macchina, udivano tutte quelle grida. Ci fecero aspettare nel cortiletto dello stadio per ben 24 minuti, che furono ore di spasimo. Il Quiti disse a uno del plotone: << Colpiscimi giusto e non farmi tanto soffrire ! >>  Nel frattempo, una decina di gerarchetti della federazione di Firenze in trenci e con la sigaretta in bocca giravano intorno alla macchina, curiosando e desiderosi di vedere le vittime. Appena il Quiti e il Raddi videro questi borghesi, si misero nuovamente a gridare: <<... pietà, aiuto, ci fucilano, salvateci ! >>

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Un brutto ceffo di delinquente rispose loro digrignando i denti: << Ah! Adesso, pietà... >>. Balzai allora dalla macchina e pieno di sdegno li cacciai investendoli di male parole e dissi loro:<< Non è lecito, né umano oltraggiare così dei condannati a morte ! >>. 

<<  Chi sono ? >>,  mi chiesero il Raddi e il Quiti. Ed io risposi: << Sono degli assassini >>.

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Finalmente giunse il gerarca ed il papavero atteso.  Don Giulio Roberti sollecitò affinché si portassero le povere vittime sul luogo dell’esecuzione e così fosse smessa quella tortura indicibile. Il luogo scelto fu la parte esterna dello stadio Berta, poco lontano dalla torre. Venne l’ordine di tradurre le vittime sul luogo del supplizio. Si udiva solo il pianto dei poveri condannati. Diedi loro l’ultima assoluzione. Aiutai, assieme all’altro Cappellano, a bendare gli occhi degl’infelici. Poi il Raddi mi disse: << Cappellano, voglio darle un bacio >>. Mi inchinai e mi baciò in fronte e per questo gli levai leggermente la benda. Allora tutti gli altri mi vollero baciare.

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       Il capitano del Distretto Militare di Firenze, comandante del plotone di esecuzione, fremeva e con segnali voleva che mi brigassi. Quiti allora volle parlare col comandante del plotone di esecuzione; lo chiamai e gli chiese: << Ma perché ci fucilate ?  Sapete cosa vuol dire morire, mandateci al fronte, ma noi siamo innocenti, nessuno ci può salvare ? >>. <<  Stai buono --- rispose il comandante --- non ti facciamo niente >>.    E volle che si ribendasse subito. Ancora il Raddi mi vuol parlare e dice: << Cappellano, dica alla mia mamma che mi sono confessato e che lei mi è stato sempre  vicino >>. Anche gli altri dissero: << Si, anche alle nostre famiglie dica che ci ha assistito lei tutta la notte e faccia coraggio ai nostri cari >>.  Intanto un certo Paolo di Vicchio o forse meglio del Cisto, amico di Antonio Raddi, venne a salutarlo e salutò pure gli altri. Passarono perciò alcuni secondi. Quiti cominciò a tremare. Voleva alzarsi e scappare, anche il Raddi e il Corona ebbero un momento di esasperazione. Con il Cappellano Don Giulio Roberti riuscii a quitarli, dicendo loro: << Pensate al Paradiso, il Signore vi aspetta, siete nelle mani di Dio e della Madonna, coraggio ! >>

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Con queste e simili parole, ma specialmente mediante la grazia del Signore, che in questi momenti tutti sentivano potente ed efficace, si riuscì e far loro tornare un po’ di calma. Allora feci un balzo indietro e subito avvenne la scarica del plotone.  Targetti, Raddi e Santoni morirono subito. Non così il Quiti, che ancora vivo dopo la scarica del plotone, legato alla sedia si dimenava, gridando: << Mamma, Mamma ! >>. Allora si avvicinò il comandante del plotone di esecuzione, capitano Armando Ciccarone che gli scaricò in faccia a un metro di distanza sei colpi di rivoltella. Il disgraziato non era ancora morto e continuava a chiamare mamma, buttando continuamente sangue. Questa scena impressionò assai.

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Uno che con me assisteva, si appoggiò a me dicendo: << Che strazio ! >>.  Alcune reclute che assistevano svennero. Si udì anche una voce: << Vigliacchi, perché li uccidete ? >>. Alcuni scapparono e ci volle la forza per trattenere altri che volevano fare lo stesso. Fu il maggiore Mario Carità, il famigerato comandante delle S.S., che dopo alcuni istanti intervenne e diede il colpo di grazia..

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Mentre somministravo l’Olio Santo, il Corona ripeté lui pure:      << Mamma ! >>.  Allora pregai il Carità che desse il colpo di grazia a tutti. Regnava il silenzio: stavano per andarsene, ma io li feci fermare tutti  e volli recitare ad alta voce il De Profundis.  Messi con religioso rispetto nelle casse che furono subito portate, li accompagnai al cimitero di Trespiano ed assistetti alla loro sepoltura. Ritornai subito a S. Gallo dove celebrai la S. Messa da Requiem per loro e vi assistettero tutte le suore.

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        Poi mi recai dal Cardinale di Firenze, raccontai ogni particolare; commosso per la morte cristianamente incontrata, disse solo, dopo aver attentamente udito ogni cosa : << Queste povere vittime hanno finito di soffrire e sono già in Paradiso >>. Lesse attentamente le  lettere  che  avevano scritto. Queste lettere furono pure fatte leggere al responsabile principale di questa fucilazione, il sanguinario Rossi Adami, il quale dopo averle lette si lasciò sfuggire: << Poveri ragazzi, non si meritavano queste pene >>. E subito, quasi correggendosi dinanzi al Cappellano che le aveva fatte leggere, aggiungeva: << Bisognava fucilare tutte le loro famiglie ! >>

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        L’impressione riportata in tutta Firenze da questo misfatto fu somma e per l’innocenza di queste giovanissime vittime e per il modo barbaro col quale vennero fucilate.

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        Un ufficiale, uomo senza dignità e senza cuore, chiese a dei suoi soldati:  << Beh, ragazzi, vi è piaciuto il cinematografo di stamani ? >>. Alcuni comandanti radunarono le loro truppe e spiegarono loro che i giustiziati erano stati giustamente fucilati, essendo degli assassini comuni, colpevoli di molti delitti, che seminavano o terrore o morte ovunque. Niente di più falso : erano cinque semplici e poveri figli del popolo, vissuti sempre tra la quiete dei loro campi, lassù in Mugello, lontano da tutti; mai avrebbero sognato che giù a valle, nel marciume della città e del gran mondo, potessero esistere tante ingiustizie ed iniquità.

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       Troppi drammi simili a questo si sono svolti tra i popoli che si credono civili; lo scettico, che forse ha ancora qualche sentimento buono e onesto, si fa più pensoso ed impreca al destino.

       

 L’uomo di fede invece, mentre deplora tanta malvagità, alza gli occhi al Cielo e adora i segni imperscrutabili di Dio che tollera tanto male, ma che presto o tardi ne saprà trarre un bene proporzionato. Ma l’uno e l’altro di fronte a questa umana tragedia deve concludere:                       

<< Giovanissimi, belli, pieni di vita, buoni e innocenti, erano senza dubbio le vittime più degne da immolarsi per la salvezza della Patria nostra martoriata >>.   

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     Il Ten. Cappellano Militare e dei Patrioti

Don   ANGELO BECCHERLE

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Nel 1946 il generale Adami Rossi e il generale Raffaele Berti furono processati e riconosciuti colpevoli,  furono degradati e condannati a morte tramite fucilazione alla schiena. Il capitano Alessandro Baggio Ducarne fu condannato a ventisei anni, il colonnello Adimaro Adimari Morelli fu condannato a sedici anni e ventidue anni al capitano Ciccarone; assoluzione per il colonnello Antonio De Meta. Ma dopo rinvii e ripetizione del processo in un altra sede, il 17 Novembre 1953, la cassazione cancellò definitivamente la sentenza fiorentina, sostenendo che “ il fatto non costituisce reato “ e decise l’assoluzione degli imputati e la reintegrazione nel grado per i due generali e gli altri ufficiali. E quindi, per i cinque giovani fucilati oltre il danno c’è stata la beffa

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